La primavera dei ragazzi dell’acqua

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La direttrice del Tg3 è così diventata – suo malgrado perché il suo giornale è stato tra i pochissimi a dare spazio ai referendum e ai suoi promotori – il capro espiatorio di un sistema tele-politico che ha colpevolmente sottovalutato, se non oscurato, la forza dei veri protagonisti, gli unici vincitori di una nuova stagione politica.

È cambiato tutto e il merito è di persone come Luca Faenzi, Paolo Carsetti, Simona Savini, Corrado Oddi, Luca Martinelli, Marco Bersani, Tommaso Fattori, per citare solo alcuni dei tantissimi esponenti del movimento. Si occupano di questi temi da anni, di acqua ne sanno più di qualsiasi parlamentare e sull’acqua hanno un radicamento sul territorio che non ha nessun partito. Come avevano dimostrato già  lo scorso anno, raccogliendo 1 milione e 400 mila firme per promuovere i referendum.
La memoria è importante, e allora facciamo un po’ di storia: si parte dal 2003, dichiarato Anno Mondiale dell’acqua dall’Onu. A Firenze si svolse il Forum Mondiale alternativo dell’Acqua che si dichiarò contro sua mercificazione. Da lì in poi, a livello locale dove già  si era privatizzato, si formarono tanti gruppi di cittadini che avevano sperimentato gli effetti nefasti della privatizzazione. Furono decine le vertenze nei territori: questo è l’humus da cui nasce il movimento. Nel 2006 si mettono tutti in rete e prende vita il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua.
Sempre nel 2006, il governo Prodi istituisce la commissione Rodotà  per riformare il libro terzo del Codice Civile, perché era stato dimostrato che l’Italia ha il più grande patrimonio pubblico d’Europa ma sottoposto alla peggior gestione. La commissione lavorò tre anni e presentò una riforma basata sul fatto che uno degli effetti della globalizzazione è stato il rovesciamento del rapporto di forza tra pubblico e privato, con quest’ultimo che ha preso il sopravvento. Si rendeva dunque necessario un nuovo approccio nella gestione dei beni pubblici, dando grande risalto ai beni comuni, in primis l’acqua e la sua gestione attraverso nuovi modelli di democrazia partecipativa. Questo percorso ha poi portato nel 2009 a una proposta di legge regionale sull’acqua a firma Ugo Mattei, docente di Diritto Civile dell’Università  di Torino, approvata dalla Giunta Bresso e da portare poi in Senato. Il 28 novembre 2009, proprio mentre i promotori e i movimenti presentano la legge piemontese al Senato con la speranza di estenderla alla Nazione (con questa probabilmente si sarebbe arrivati in maniera naturale al riconoscimento dell’acqua come bene comune), nell’altra Camera il Parlamento approvava l’improponibile legge Ronchi. Gli estensori non si persero di coraggio: capirono immediatamente che l’unico strumento per contrastare quella deriva era un referendum, e allora si prodigarono per redigere i quesiti inoppugnabili che abbiamo appena votato, chiamando alla mobilitazione per la raccolta di firme il Forum dei Movimenti.
Da anni c’è un movimento popolare privo di leader, senza strutture piramidali e senza tv, che comunica con internet e salta i canali tradizionali della politica, che muove le persone più dei partiti. Sono loro che hanno trascinato gli italiani a votare anche su nucleare e legittimo impedimento. Ne sono convinto: del resto il quorum più alto si è raggiunto su uno dei due quesiti sull’acqua. Ci siamo tanto entusiasmati per i ragazzi di Facebook e Twitter che hanno dato voce e potenza alla primavera araba in Egitto e Tunisia, abbiamo cercato le loro facce per pubblicarle ovunque: perché nessuno ora vuole le facce di questi ragazzi che hanno fatto una piccola grande rivoluzione nel nostro Paese?
E qui, dopo la storia, veniamo al futuro. Ora bisogna colmare il vuoto normativo che si è creato e c’è un’altra cosa che nessuno dice: il Forum ha presentato da anni una proposta di legge d’iniziativa popolare (sostenuta da 400.000 firme) perfetta sotto i profili giuridico e ideologico. Una riforma che riconosce pienamente il valore di bene comune all’acqua, da gestire localmente in maniera innovativa. Il movimento ha pensato anche al dopo referendum, ma continuano a non ascoltarli. La logica vorrebbe che ora si parta dalla loro proposta per il futuro, coerente con ciò che è successo, che sgombra il campo da ogni tentazione di ricaduta privatistica. C’è per esempio una proposta di legge del Pd, ma basta citare due punti per capire che non va nella direzione giusta: continua a proporre forme di gestione privata, tramite spa o gare d’appalto, e, oltre alla tariffa, forme di “remunerazione dell’attività  industriale”, un altro modo di dire “capitale”. La proposta popolare disegna invece un sistema tutto nuovo, pienamente in sintonia con la volontà  espressa dagli italiani: gestione pubblica partecipata, affidata a soggetti di diritto pubblico con la partecipazione di cittadini lavoratori, e finanziamenti che oltre alla tariffa prevedono di attingere alla fiscalità  generale e alla finanza statale. In pratica si abbraccia la teoria del premio Nobel Elinor Ostrom che prevede istituzioni endogene per la gestione dei beni comuni, nuove forme di democrazia partecipata che superino con una terza via la vetusta scelta finto-obbligata tra stato e mercato. La gioia di questa vittoria è proprio come l’acqua, metafora perfetta: non si privatizza, non ce ne si appropria in nessun modo se non si hanno meriti. Questa gioia va solo condivisa, anche perché in questo momento è il nostro più grande bene comune.

 


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