La paura delle urne

by Editore | 4 Giugno 2011 7:08

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A pochi giorni dall’esito disastroso dei ballottaggi, il presidente del Consiglio, sempre più in affanno, le prova dunque tutte pur di sottrarre alla verifica del voto scelte legislative che toccano argomenti di importanza essenziale per il futuro del Paese: l’appartenenza dell’acqua, le fonti di energia, un’idea primaria di legalità .
Deciderà  la Consulta – con l’equilibrio e il rigore che non le sono mai mancati – della fondatezza di un’impugnazione che ha tutta l’apparenza di un gesto giuridicamente disperato, per annullare una decisione sensata, ragionevole e per giunta impeccabilmente motivata in punto di diritto. È un altro, e tutto politico, l’aspetto su cui vale per ora la pena di riflettere.
Per anni, di fronte a qualunque difficoltà  che rischiava di ostacolarne il percorso, il presidente del Consiglio ha cercato sempre di far imporre e far valere un’idea – diciamo così – semplificata e scarnificata fino al grottesco della democrazia, ridotta per lui solo a un rapporto esclusivo e diretto fra leader e popolo.
In questa visione – che possiamo tranquillamente definire plebiscitaria – ogni timore per una consultazione referendaria dovrebbe essere escluso in via di principio. Cosa ci sarebbe di meglio per chi non ha mai smesso di esaltare – a parole – l’intoccabilità  e il primato della sovranità  popolare, che una consultazione diretta del popolo stesso, che mette per un attimo tra parentesi le forme della rappresentanza parlamentare?
Ma ecco che d’improvviso tutto questo non vale più. Il popolo può andare al mare; e meglio ancora sarebbe riuscire a impedirgli in qualunque modo di pronunciarsi, di far sentire la propria voce, di far pesare la propria opinione. La sovranità  popolare cosi spesso richiamata a sproposito, ora viene di colpo dimenticata: molto meglio riuscire a farne a meno.
La verità  è che adesso il grande populista teme di aver perduto il suo popolo. E allora tutto cambia. Il racconto che ci aveva proposto con un incalzare addirittura ossessivo – la sua carismatica sintonia con gli elettori – si è bruscamente interrotto. Anzi, rischia di rovesciarsi nel suo contrario. Ora c’è bisogno di vuoto e di silenzio. Di lasciar fare al governo, di non essere disturbati.
Emerge così in piena luce il valore miseramente strumentale di quell’idea di popolo e di volontà  popolare che abbiamo sentito tante volte invocare dal presidente del Consiglio durante la sua carriera. Non era nemmeno questo la sua democrazia. Il popolo va bene fin quando dice sì. Se entra il crisi il consenso, se qualcosa si è spezzato, allora meglio rinviare, aggirare, provare a confondere i giochi. Quel che conta non è la democrazia, ma il potere, la sua conservazione, il suo prolungamento, a qualunque costo.
Quel che sta accadendo è dunque una ragione in più per andare a votare. Perché anche il popolo della destra non diserti il voto, e faccia sentire la sua opinione. Sarebbe una grande prova di maturità . Ogni giorno appare sempre più chiaro che siamo alla fine di un lungo ciclo. Forse la transizione italiana sta davvero finendo. Il voto di giugno può essere un altro passo nella giusta direzione.

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