by Editore | 8 Giugno 2011 6:42
Mentre finirete di leggere questo articolo un nuovo crimine ambientale si sarà appena aggiunto alla lunga lista nera dell’Italia delle ecomafie. Ottantaquattro reati scoperti in un giorno, per un fatturato stimato di 19,3 miliardi di euro e una pesante eredità di due milioni di rifiuti pericolosi trattati illegalmente, solo per citare le cifre ufficiali che emergono dalle indagini. Il sintomo evidente che l’antica malattia del traffico dei rifiuti, dell’abusivismo, del cemento selvaggio non è mai stata sconfitta. Anzi, i sintomi dell’aggravamento sono evidenti e preoccupanti.
I dati elencati nel tradizionale rapporto ecomafie di Legambiente presentato ufficialmente ieri sono solo la conferma della trasformazione – tipicamente italiana – di uno dei peggiori crimini in opportunità d’affari per la criminalità organizzata. I quasi venti miliardi di euro del fatturato conosciuto – cifra che probabilmente dovrebbe essere moltiplicata almeno per due – sono une delle fette più consistenti del budget annuo delle mafie, che partecipa all’affare della monnezza peggiore – le scorie industriali – con 290 diverse cosche, venti in più rispetto all’anno precedente.
La devastazione del territorio non si ferma ai rifiuti. L’altro motore dell’economia di Gomorra si chiama cemento, che nel 2010 ha prodotto 26.500 nuovi immobili, divorando una superfice di territorio grande come 540 campi di calcio. Su questo fronte lo scorso anni sono stati accertati quasi settemila illeciti, con 9.290 persone denunciate, più di una ogni ora. La Calabria è la prima regione come numero d’infrazioni – 945 – seguita dalla Campania, dove si registra il maggior numero di persone denunciate – 1.586 – e dal Lazio, dove la costa del sud pontino continua a rimanere sotto l’attacco degli speculatori, sospettati in molti casi di contiguità con la malavita organizzata.
Ecomafia vuol dire un sistema quasi neurale che mette in collegamento la manovalanza delle cosche, con la grande impresa industriale, grazie alla fitta rete di relazioni sviluppata dai mediatori, dai brokers. Piccoli e medi imprenditori, spesso dall’apparenza assolutamente insospettabile, che girano il paese costruendo relazioni in grado di aumentare vertiginosamente i profitti dei traffici illeciti.
«Il business dell’ecomafia, con la sua capacità pervasiva e la possibilità di occupare stabilmente posti chiave dell’economia, si propaga e si rafforza anche grazie al coinvolgimento dei cosiddetti colletti bianchi e alle infiltrazioni nell’imprenditoria legale – ha commentato ieri il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -. Un fenomeno questo che si aggrava notevolmente nelle fasi di crisi economica e di scarsità finanziaria e che rende difficoltoso la svolgimento delle indagini e la ricerca delle responsabilità che si perdono in un percorso travagliato tra legalità e malaffare». Ed è un business in espansione, con dati che mostrano l’aumento dei reati ambientali, smentendo con chiarezza le belle intenzioni del ministero dell’ambiente.
In cima alla piramide dei crimini ambientali continua a rimanere il traffico dei rifiuti, unico reato ambientale che le procure riescono oggi a individuare e punire quando indagano sul mondo delle scorie industriali. Le inchieste nel 2010 sono state 29, con l’arresto di 61 persone e la denuncia di altre 597. Quasi ottanta le aziende coinvolte in tutta Italia.
Davanti a questo fronte criminale lo stato sembra spesso assolutamente disarmato. Tante, troppe le archiviazioni e le inchieste che – per mancanza di strumenti legali adeguati – si sono dovute fermare.
«Per porre rimedio a questa situazione – ha proseguito il presidente di Legambiente -, avevamo atteso con ansia il decreto col quale il governo deve recepire la Direttiva europea sulla tutela penale dell’ambiente, inserendo finalmente i delitti ambientali nel Codice Penale. Purtroppo, ad oggi, lo schema approvato rappresenta una vera e propria ‘occasione mancata’». Spesso i magistrati si trovano davanti a illeciti che a mala pena prevedono una contravvenzione. E le multe di fronte a cifre d’affari a sei zeri possono ben poco.
Assolutamente inadeguato appare dunque l’impegno del ministero dell’ambiente, che ieri non ha commentato il quadro emerso dal rapporto di Legambiente. 7,8%
È l’incremento fatto registrare dagli illeciti ambientali, nel 2010, rispetto all’anno precedente. Gli illeciti accertati sono in tutto 30.824. Il ciclo illegale dei rifiuti e le cave all’abusivismo edilizio da soli rappresentano il 41% sul totale.
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