La Cina minaccia l’Europa “Chiudiamo lo spazio aereo”

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La guerra commerciale fra la Cina e l’Occidente, o almeno l’Europa, non scoppierà  per contrasti sull’industria della manifattura, i dazi, il dumping o il cambio con lo yuan, ma su un fronte che nessuno si immaginava, quello dei cieli. Ieri a Singapore al congresso mondiale delle Iata (la federazione delle compagnie aeree) un delegato di Pechino ha detto chiaro e tondo che se l’Ue, come è già  deciso, introdurrà  dal 1Ëš gennaio una tassa sulle emissioni di anidride carbonica di tutti i voli intercontinentali da e per l’Europa, la Cina per ritorsione chiuderà  il suo spazio aereo a tutte le compagnie europee. E non è la boutade isolata di un funzionario. Il direttore della Iata, l’italiano Giovanni Bisignani, fa notare che una settimana fa, nell’indifferenza generale, «una delegazione governativa di cinesi, convocata da Bruxelles per far conoscere il funzionamento del nuovo sistema di “emission trading”, non ha voluto nemmeno ascoltare, e se n’è andata minacciando l’embargo».
Forse in Europa si è preferito far finta di niente perché si contava sul fatto che un accomodamento, alla fine, si sarebbe trovato; ma Bisignani, che è al timone della Iata da dieci anni, dice che l’Ue si fa delle illusioni: «Ho visto i cinesi cambiare. Anni fa erano concilianti, adesso si sentono cresciuti di forza e manifestano un’aggressività  non controllata. Non sono abituati a un confronto politico dialettico». A quanto sembra la politica europea delle emissioni di CO, fatta per anni in solitario, come se il resto del mondo non esistesse, o come se fosse destinato ad accodarsi in un secondo tempo, sta andando a sbattere contro un muro. Oltre alla Cina hanno già  detto no all’Ue gli Stati Uniti, la Russia, il Giappone, l’India, l’Australia e un centinaio di altri Paesi. Pechino è la prima a passare alle vie di fatto.
Bisignani valuta che in gioco ci siano «diversi miliardi di euro» che le compagnie straniere dovrebbero pagare in Europa se il nuovo schema di compravendita delle emissioni entrasse in vigore. L’opinione che ne ha il direttore della Iata non è positiva: «In Europa dalle compagnie aeree vengono già  scremati in forma di tasse 5,4 miliardi di dollari l’anno, quando il totale degli utili di tutte le compagnie della Iata è stimato in 4 miliardi nel 2011. Il settore è già  sovraccarico di tasse». Non ha senso aggiungerne altre. I 4 miliardi di utili di quest’anno sono una frazione dei 18 miliardi del 2010 e sono calcolati supponendo un prezzo medio del petrolio di 110 dollari per barile.
Ma se il greggio arriva a 130 le compagnie vanno in rosso, e se il barile supera i 130 dollari è un bagno di sangue. «In dieci anni alla Iata sono stato costretto a sovrintendere al fallimento di 40 compagnie – dice Bisignani -. Ho paura che ci avviamo a un’altra crisi con decine di chiusure» se arriva un’altra scossa al mercato, come una nuova corsa del petrolio o una guerra commerciale Europa-Cina.
Eppure in dieci anni di gestione di Bisignani la Iata ha superato due grandi crisi (quella post-2001 e quella post-2008) aumentando la produttività  del lavoro del 67%, un tour de force ai limiti del possibile. «Dieci anni fa il punto di pareggio dei bilanci delle compagnie era col barile na 25 dollari, oggi è a 130» vanta il numero uno.
Ma a tutto c’è un limite. Fra l’altro, il traffico passeggeri globale è tornato sì ai livelli pre-crisi, ma nel frattempo c’è stata una redistribuzione delle quote di mercato e dei profitti, a danno di Europa e Nord America e a vantaggio delle compagnie aeree cinesi, di Singaporee di alcune mediorientali come Emirates.
A parziale riconoscimento di questa situazione, al posto di Bisignani, il cui mandato scade con questo convegno della Iata, verrà  preso (oggi l’investitura ufficiale) da un certo Tony Tyler che pur essendo europeo guida la Cathay Pacific di Hong Kong.Il baricentro sè è spostato lì.




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