by Editore | 11 Giugno 2011 7:09
Dentro l’esigenza di cambiamento si sono ritrovati – solo in parte, ma non casualmente – anche la Chiesa e i cattolici. Chi non ha gradito questa partecipazione ha creduto di poter individuare specifiche responsabilità . È il caso, ad esempio, del cardinal Tettamanzi, colpito da accuse tanto pesanti quanto ingiuste. L’arcivescovo di Milano, infatti, non è stato uomo di parte: egli ha solo richiamato, fermamente e costantemente, la necessità che la politica tornasse ad essere umana, misurandosi in particolare sulle esigenze dei più deboli e dei più poveri. Probabilmente, l’atto più “politico” del suo episcopato è stata un’iniziativa “non politica”: la creazione di un fondo di solidarietà a favore delle famiglie colpite dalla crisi economica. E nella stessa direzione sono andati anche altri uomini di Chiesa, a cominciare dal cardinal Bagnasco che poche settimane fa ha definito la politica italiana “inguardabile”. Non si può accusarli se le loro parole favoriscono una parte o un’altra: tutto dipende, infatti, da quanto i diversi attori scelgono di praticare una politica umana o, almeno, “guardabile”.
Emerge così un ruolo della Chiesa e dei cattolici cui si rivolge in genere scarsa attenzione. Ci si chiede insistentemente se i cattolici animeranno un nuovo partito dei moderati, se confluiranno in una formazione centrista, se resteranno minoritari nel centrosinistra… Ma c’è anche altro da capire. Non a caso, la sensazione, di essere vicini a una svolta che potrebbe chiudere la fase iniziata nel 1994 spinge ad interrogarsi sugli errori compiuti allora. È prevalsa a lungo l’idea che nei primi anni Novanta la sinistra abbia sbagliato spaventando i “moderati”, errore che poi si è cercato di correggere praticando una singolare subalternità nei confronti dei valori e delle idee delle forze vincenti. Ma il recente libro di Franco Cassano, L’umiltà del male, sul pericolo di contrapporre la giusta esigenza di rigore etico all’innegabile realtà della debolezza umana, suggerisce un’altra interpretazione. Il cambiamento non si presentò nei primi anni Novanta come una brezza mite e leggera ma fu percepito come un vento aspro e tagliente, che pretendeva di imporre alla società italiana l’intolleranza della virtù e il rigore della perfezione. Si diffuse la sensazione che si volesse introdurre una riforma etica e civile estranea al carattere degli italiani. Berlusconi fu abile nel cavalcare il disagio che ne scaturì, per diffondere la sua predicazione consumista, basata su immagini familiari e senso comune, apparentemente bonaria e conciliante. E taluni eccessi giustizialisti di quella stagione contribuirono ulteriormente ad attirare molti cattolici verso la sua parte.
Si evoca spesso la mancata penetrazione in Italia della Riforma protestante quale causa di mali profondi. Indubbiamente, la storia italiana è stata diversa da quella di altri paesi europei. Ciò non significa che qui nulla può cambiare davvero e tutto è destinato a restare gattopardescamente identico. Ma il cambiamento può prevalere solo se riesce ad attirare dalla sua parte le energie profonde della società italiana, tra cui quelle del cattolicesimo. Lo ha capito Manzoni, le cui Osservazioni sulla morale cattolica hanno aperto la strada alla partecipazione dei cattolici al movimento risorgimentale. Lo ha capito De Gasperi, che ha visto nella saldatura tra cattolicesimo e democrazia la garanzia della definitiva affermazione di quest’ultima nell’Italia post-fascista. Ed è significativo che entrambi abbiano riflettuto sul ruolo “civile” del cattolicesimo italiano a partire da un osservatorio europeo, per il primo quello parigino e illuminista di inizio Ottocento e per il secondo quello asburgico e multiconfessionale di inizio Novecento. Anche oggi, è possibile lavorare per un futuro diverso, senza rinunciare a un cambiamento profondo del costume civile e della vita politica in Italia, ma interrogandosi adeguatamente sull’apporto che può venire in questo senso anche da una tradizione incline ad anteporre il bisogno al diritto, la solidarietà alla concorrenza, il perdono al rigore e, soprattutto, la speranza al giudizio.
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