India, lo spirito dei soldi
Il guru in questione, titolare di una seguitissima trasmissione televisiva e appoggiato dalla destra indu, ha cominciato a inizio giugno uno sciopero della fame nonostante le suppliche del primo ministro indiano Manmohan Singh a lasciar perdere: vuole che sia istituita la pena di morte per i ministri corrotti. Ramdev – il cui giro d’affari si aggira sui 245 milioni di dollari senza contare le imprese che ha affidato a prestanome – ha tuonato contro il malaffare, ha smesso di mangiare, è finito in ospedale e infine ne è uscito trionfante dopo nove giorni, non senza essere stato prima gratificato dalla sfilata al suo capezzale di una pletora di ministri e leader religiosi che lo imploravano di bere almeno un succo di frutta.
Per inciso, il guru-forcaiolo ritiene di poter “curare” cancro, Aids e, addirittura, “omosessualità “ con le tecniche yoga. Populismo, senso mediatico e capacità di ricattare il potere: Baba Ramdev è una macchina politico-economica a tutto tondo.
Oltre a lui, i grandi nomi del misticismo new age sono Sri Sri Ravi Shankar – fondatore della Art of Living (Aol) Foundation – Mata Amritanandamayi – “amma” (madre) dei suoi discepoli – e il recentemente scomparso Satya Sai Baba. Aggiungiamoci i defunti Maharishi Mahesh Yogi – l’uomo che iniziò i Beatles e mezzo Occidente alla meditazione trascendentale – Acharya Rajneesh – il fu “Osho” – e avremo chiaro il denominatore comune a tutti: un mucchio di soldi.
La collezione di Rolls Royce di Osho è arcinota, così come gli investimenti di Maharishi Mahesh nel settore immobiliare e in altre imprese molto “profit”. Quanto a Sai Baba, il suo fondo caritatevole aveva asset per 8,8 miliardi di dollari (stima per difetto).
Così, osserva Asia Times, si è passati da un misticismo della frugalità e del distacco, a uno globalizzato, dove il santone è una vera e propria impresa gestita secondo criteri di mercato. I soldi infatti non piovono dal cielo, ma da alcune tecniche commerciali ben conosciute e sapientemente sfruttate.
Prima di tutto, il guru è un marchio con la sua Unique selling proposition (Usp), cioè “argomentazione esclusiva di vendita”. In pratica, così almeno ti lascia intendere, solo lui può offrirti quella particolare merce. Così la tecnica di respirazione sudarshan kriya di Sri Sri Ravi Shankar è spacciata come unica; idem gli abbracci che “amma” Mata Amritanandamayi dispensa ai suoi figli e i “miracoli” di Sai baba: materializzazione di orologi, collane e così via.
In secondo luogo, si esercita una sorta di marketing protezionistico: si invitano gli adepti a consumare esclusivamente merci (spirituali ma anche no) locali. È la riedizione dello swadeshi – la strategia anticolonialista che spingeva a boicottare i prodotti britannici e a consumare solo indiano – ma finalizzata al profitto. È l’indianità che si vende, o un surrogato, poco conta.
Infine, come vere e proprie aziende multinazionali, alcuni ashram (eremi) impongono clausole di riservatezza a chi vi si reca. È questo per esempio il caso della Aol, che fa firmare a chi frequenta i corsi di respirazione un’impegnativa a non divulgarne le tecniche senza “una formazione personale ricevuta da Sri Ravi Shankar e dalla Art of Living Foundation”.
I guru-manager e le loro associazioni si giustificano sostenendo che senza una gestione imprenditoriale dei propri saperi, volta al soldo, non potrebbero neanche fare tutte le attività filantropiche per cui sono famosi.
Ma le critiche non mancano. In particolare, li si accusa di mettere il copyright su conoscenze, tecniche che appartengono a tutti e che a tutti devono restare accessibili. Anche qui è chiara la similitudine con il mercato vero e proprio: si pensi solo alle multinazionali farmaceutiche che traggono formule chimiche dalla medicina naturale (o sintetizzano sequenze genetiche di popoli tribali) e poi ci piazzano il loro marchio.
Qualcuno poi si pone la seguente domanda: se sono così buoni, i nostri guru, perché non lavorano gratis e tra la gente? Il fatto è che per intercettare il flusso di turisti dello spirito provenienti da Occidente, i nuovi mistici creano spesso ashram off-limits per la popolazione indiana. All’origine, la domanda di chi sente un’irresistibile tensione verso l’India, sì, ma possibilmente ripulita.
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