by Editore | 4 Giugno 2011 6:53
Lo spazio e l’uomo, ovvero la natura che contiene il dramma dell’esistenza umana, una natura che può essere indifferente e leopardiana, un «personaggio» palpitante di vita, specchio romantico di sentimenti e emozioni, manifesto dolente dell’estinzione, scenario immane di una grande epica, visione struggente di un paradiso utopico.
Nel cinema immenso di Michael Cimino – 7 film diretti in tutto, più il corto nell’opera collettiva Chacun son cinéma ou Ce petit coup au coeur quand la lumière s’éteint et que le film commence (2007) – la natura non si protende mai verso il pubblico come succede adesso che il 3D è divenuta una prassi comune, ma abbraccia lo sguardo di chi lo contempla e lo pone dentro la pellicola con gentilezza, con rabbia, con orrore e con amore.
C’è un’affinità elettiva tra Cimino e la natura.
In questi giorni il grande regista è a Torino per dirigere la giuria del concorso della XIV edizione del festival di CinemAmbiente (dal 31 maggio al 5 giugno al Cinema Massimo), lente d’ingrandimento sul cinema che riflette sulle tematiche ecologiche e che ci mostra lo stato del pianeta e degli animali, homo sapiens sapiens compreso, che lo abitano.
Il cinema di Cimino – è dal 1996 che non dirige un lungometraggio – possiede il carisma dolente di una specie in via d’estinzione così come la sfrenata vitalità di un animale che sopravvive malgrado tutto gli sia avverso e ogni volta che si rivede un suo film è come se lo si vedesse la prima volta, perché il tempo lo muta e trasforma, adattandolo al presente e istaurando con la pellicola una dialettica nuova che proprio per la sublime inattualità nietzscheana dei suoi lavori risulta sempre attuale. Innamorato della letteratura russa ruba a Nobokov la più bella descrizione di un’opera d’arte: «è una forma di magia, complessa, fatta di incanti e inganni. Parlava di alta letteratura e alto cinema». Al festival Cimino introduce il suo ultimo film Verso il Sole, apoteosi catartica che ci conduce lungo le strade del Colorado, dell’Arizona e dello Utah alla ricerca di un luogo sacro che possa salvare la vita ad un carcerato evaso, malato di cancro, che ha preso in ostaggio il suo medico.
Il desiderio di continuare ad esistere e la consapevolezza e l’accettazione della propria fine, come in tutte le opere di Cimino, da Una Calibro 20 per lo Specialista (titolo italiano di Thunderbolt and Lightfoot), del 1974, in poi, diviene una questione universale e intimista insieme. Lo vediamo nello sguardo ridente, già sull’altrove, di Jeff Bridges ferito a morte nel film sopracitato, nel grandioso rancore di Mickey Rourke in Ore Disperate (1990), negli occhi già morti di Robert De Niro con una pistola alla tempia ne Il cacciatore (1978) e riflettersi nelle iridi dei coloni assassinati dai mercenari ne I Cancelli del Cielo (1980), nell’Anno del dragone (1985) e in Il Siciliano (1987). Abbiamo incontrato Michael Cimino durante il festival di CinemAmbiente.
Il cinema western, con la sua epica del panaroma, dei grandi spazi e delle terre selvagge può essere considerato il genere con la maggiore sensibilità ecologica ?
Dipende solo dal regista, dalla sua arte, dal suo spirito e dalla sua filosofia. Quello che dici è vero solo per i grandissimi autori, per un regista ordinario un panorama è solo una foto che si muove. John Ford è il migliore esempio di un cinema western con un’anima ambientale. Egli non veniva dal Far West ma dal Maine, il posto più a est degli Stati Uniti. Ma quando giunse nel West ne scoprì la grandezza e la bellezza. E se ne innamorò. Proprio come Theodore Roosvelt, il presidente americano, anch’egli era dell’est e quando arrivò ad ovest ne fu ammaliato. Prima di essere eletto si costruì un ranch, voleva diventare un cowboy più di ogni altra cosa. Amava i cavalli, la gente del west, le tradizioni del west. E quando divenne presidente fu il primo ad invitare a Washington i capi delle molteplici nazioni indiane, proprio alla sua cerimonia di insediamento. Così mostrò il suo rispetto agli indiani. Onorò il primo popolo d’America. Ma questo purtroppo non vale per tutti i presidenti, e nemmeno per la gente in generale. Alla maggior parte di persone non importa nulla degli indiani. Ed è una tragedia perché avrebbero tante cose da insegnarci e noi tanto da apprendere. Le loro idee sulla terra, la loro filosofia della natura… Solo adesso stiamo arrivando a comprendere quello che loro invece avevano applicato. L’unità di tutte le cose e che tutto sulla terra possiede uno spirito: la pioggia, la neve, le rocce, gli alberi. Tutto possiede la vita ed è quindi da rispettare. Non lasciavano mai un rifiuto dietro di essi, rispettavano la vita in ogni forma e il resto di ciò che consumavano diventava un vestito, una decorazione, un gioiello. Pregavano prima di uccidere un animale, ringraziandolo per la vita che cedeva affinchè i loro figli potessero sopravvivere. È una lezione unica che hanno provato a insegnarci ma che noi abbiamo ignorato. Adesso ci sono grandi professori che parlano di «Verde! Verde! Verde!» ma sta diventando una questione economica. Gli indiani sapevano tutto prima e non hanno mai lasciato una cicatrice sulla terra. Quelle sono arrivate con i bianchi.
Sembra che il cinema, sebbene sia un argomento che la realtà del presente ha riportato in auge con tutto il suo orrore, si sia dimenticato dello spettro del nucleare. Cosa ne pensa dell’utilizzo dell’energia atomica?
L’uomo è una creatura molto arrogante. La razza umana ha l’idea bizzarra che dominerà il pianeta per l’eternità . In realtà siamo qui da poco più di centomila anni mentre i dinosauri l’hanno dominata per milioni di anni. A quell’epoca esplodevano vulcani, si formavano delle isole, i continenti si spostavano. La terra agiva da sola, noi non c’eravamo. Poi siamo arrivati noi a costruire in posti dove pensavamo di restare per sempre. Non è stato l’uomo a creare lo tsunami che ha colpito il Giappone e nemmeno i tornado che flagellano l’America. Ma è la terra che procede indipendentemente dall’uomo, non possiamo controllarla. Abbiamo la presunzione di farlo. Questa arroganza ha portato alla costruzione degli argini di cemento sulle rive del Mississippi, che scorre da migliaia di anni, ma se il Mississippi deve straripare straripa lo stesso. Quindi se la natura vuole distruggere il Giappone lo farà , non possiamo fermarla. È impossibile. Gli ambientalisti dell’ultima ora sono convinti del contrario, tuttavia non abbiamo nessun controllo sulla Terra. È la terra che controlla noi. Usiamo l’energia atomica, mandiamo i razzi nello spazio, non molto lontano in verità , e così pensiamo di avere un potere divino. Pensiamo che noi e tutto quello che c’è sul pianeta sia permanente, ma ai dinosauri è bastato un meteorite per essere spazzati via dalla terra. Adesso stiamo impazzendo con l’energia atomica e siamo convinti che possa fare prosperare la nostra specie, ma basterebbe un altro meteorite. Non potremmo fermarlo sparandogli con i cannoni. E allora addio energia atomica, addio tutti. Non sapremo mai quanto resteremo su questo pianeta. Mai.
Sono circolate delle voci a proposito del fatto che un suo nuovo film sia in pre-produzione: «Men’s Fate», un lungometraggio ispirato a «La Condizione Umana» di Andrè Malraux. Possiamo sperare di vederlo un giorno?
Lo spero anch’io. Si è vero, ci stiamo lavorando. Bisogna avere speranza, sempre.
Cosa ne pensa della Nuova America di Obama?
È un momento molto confuso e anche Obama mi pare confuso, una confusione che parte dall’alto e arriva dal basso. I cinesi dicono che il pesce puzza dalla testa.
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