Il timone dell’Fmi a Christine Lagarde

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NEW YORK – Ci voleva un’ex campionessa di nuoto, e per di più sincronizzato, per restare a galla nella gara più dura mai combattuta al Fondo monetario. Alla fine Christine Lagarde ce l’ha fatta: è la prima donna in 65 anni di storia – «è un onore e una gioia», esulta subito su Twitter – e probabilmente l’ultima europea a sedere sulla poltrona più alta della banca che amministra i prestiti e gestisce i salvataggi delle nazioni del mondo. L’incoronazione della regina Christine è arrivata ieri con due giorni di anticipo sulla data, 30 giugno, in cui il Fondo di Washington aveva promesso di arrivare a una soluzione per riscattare l’immagine dell’istituzione travolta dallo scandalo di Dominique Strauss Kahn, dimissionario per l’accusa di stupro. I 24 membri del board, in rappresentanza dei 187 Paesi, hanno così «selezionato» il ministro dell’Economia francese, 55 anni, per «servire da managing director».
L’attacco dei Paesi emergenti è stato dunque piegato con la «offensiva dello charme» (Wall Street Journal) e «una campagna da rockstar» (New York Times): ma soprattutto con una serie di concessioni che Lagarde si è impegnata a fare. Dopo il via libera, lunedì, del più pesante degli emergenti, cioè la Cina, ieri è arrivato il sostegno degli Stati Uniti e poi di Russia e Brasile, le altre colonne di quei Bric – appunto Brasile, Russia, India e Cina – nuove forze globali. L’altro candidato, il messicano Carstens, non aveva più speranza, avendo raccolto solo l’appoggio di Canada e Australia, scalpitanti di saltare sul carro degli emergenti sganciandosi da quello troppo affollato degli europei.
E adesso? Lagarde è stata da una parte premiata e dall’altra criticata proprio per il ruolo svolto nel costoso salvataggio dell’euro. Il nuovo direttore, dicono per esempio i brasiliani, non può continuare a focalizzare la sua attenzione sull’Europa. Piuttosto confermi il suo impegno a dar voce agli emergenti: approvando la riforma delle quote che ridistribuirà  il potere dei diversi Paesi e nominando il suo vice non più sulla base della nazionalità . Richiesta difficile da rispettare. Gli Usa hanno evitato fino all’ultimo di schierarsi per non inimicarsi gli emergenti. Ma da sempre vale quel patto non scritto per cui agli europei va la direzione dell’Fmi e a loro la vicedirezione esecutiva: oltre al comando della Banca Mondiale (la nuova battaglia si svolgerà  nel 2012) in cui il presidente Robert Zoellick dice ora di «non vedere l’ora di lavorare» con Lagarde.
E poi proprio l’Europa, con la crisi greca in testa, è tra le prime emergenze da affrontare: «L’intera nazione si impegni sulla strada dall’austerità », dice appellandosi anche all’opposizione il nuovo direttore, il cui mandato di 5 anni comincerà  il 5 luglio. Nelle prime dichiarazioni, anche la promessa di un Fondo «capace di garantire una crescita più forte e sostenibile, stabilità  economica e un migliore futuro per tutti», servendo tutti Paesi «con la stessa determinazione». Peccato che l’Eliseo, che piazza il quinto direttore su 11, non perda occasione per sbandierare la propria grandeur: «Ha vinto la Francia».


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