Il “governo-ombra” del faccendiere

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Bisignani era Berlusconi. Berlusconi era Bisignani. Bisignani era Letta. Letta era Bisignani. Il “governo ombra” lo teneva in mano proprio lui, Luigi Bisignani. Quello ufficiale lo reggeva Berlusconi. Ma era il “piduista” di sempre a tessere in tutti i palazzi, quelli istituzionali, quelli della grande economia, quelli delle polizie e degli 007, quelli dell’informazione a partire dalla Rai, la trama segreta, a muovere la “macchina del fango”, a spostare e sistemare gli uomini giusti laddove servivano.
Non è scritto in una fiction. Non è un romanzo giallo. Ormai è stato cristallizzato negli atti di un’inchiesta giudiziaria. Quella dei pm di Napoli Francesco Curcio ed Henry John Woodcock. Due anni di lavoro. Una montagna di carte che potrebbero essere un palazzo. Quindicimila? Una più, una meno. I faldoni dell’indagine sulla nuova loggia che sconvolge e “governa” l’Italia. Gli avvocati degli imputati, da ieri, stanno leggendo le 15mila pagine, una dopo l’altra, con allarme crescente. Oggi sicuramente, a Montecitorio, nella giunta per le autorizzazioni che deve affrontare il dossier sulla richiesta di arresto per Alfonso Papa, gli uomini del Cavaliere pretenderanno di acquisirle tutte quante. Serve solo per prendere tempo. Per cercare di salvare, dopo il coordinatore della Campania Nicola Cosentino, anche Papa. Il magistrato infedele, divenuto deputato del Pdl per esplicita imposizione di Bisignani, che per suo conto girava le procure di mezza Italia, a partire da Napoli, sfruttava l’aiuto di poliziotti e carabinieri traditori quanto lui, portava tutto a Bisignani.
Bisogna raccontarlo nei dettagli questo «sistema criminale illegale e surrettizio». «Preordinato all’acquisizione e alla gestione di notizie, per scopi e finalità  illecite ed extra ordinem, con modalità  operative tipiche delle più sofisticate compagini associative di stampo terroristico e mafioso». Lo descrivono così Curcio e Woodcock. Che raccolgono i fatti. Che si guardano bene dal lasciarsi andare a qualsiasi considerazione anche solo velatamente politica. Nulla che possa scatenare contro di loro l’accusa di essere magistrati “di partito”.
I fatti, appunto. Essi dimostrano che Bisignani e Berlusconi era come se governassero assieme. Lo prova la sudditanza dei ministri a colloquio con il manovratore della P4. Gianni Letta, proprio il grande saggio di palazzo Chigi, l’ambasciatore con il Colle, è il primo a essere ossequioso perfino quando lo interrogano a Napoli. «Luigi è persona estroversa, brillante e bene informata. È amico di tutti. È l’uomo più conosciuto che io conosca. Bisignani è un uomo di relazioni».
Quanto grandi e potenti erano queste «relazioni» è ormai documentato. Agli atti. Relazioni funzionali a sostenere il premier ufficiale, il Cavaliere. Con cui “don Luigi” è in rapporti intimi. Lo vuole perfino invitare alla festa di compleanno di sua madre. È il 3 dicembre del 2009. Lui ne parla a telefono con la sorella. Lei si mette di traverso, lo ferma, non vuole che diventi «una Noemi seconda», cioè una festa scandalo come quella per il 18 anni della famosa Noemi Letizia. Che dalle veline si passi alle «velone». Lui insiste, dice che Berlusconi «gli ha già  detto di sì», che «se ne frega», pur sapendo che Repubblica «sta addosso a sta cosa». La sorella però, come scrivono i magistrati, «ha paura che sul giornale potrebbe andare a finire il nome dei Bisignani». Lei preferisce «annullare tutto dicendo a Berlusconi che la mamma sta male». Un rapporto sotto i riflettori, in cui non c’è neppure bisogno di nascondersi.
Come tutti quelli che intrattiene Bisignani, l’uomo che controlla palazzo Chigi e lo Stato. Il primo ministro ombra. Che comanda a bacchetta ministri come Stefania Prestigiacomo. Lei gli chiede aiuto per migliorare i rapporti con il collega Paolo Romani, visto che lui «non si comporta bene». E lei è a secco di finanziamenti per il suo ministero. Ignazio La Russa è disponibile: «Arrivo a Roma, se ci vogliamo vedere facciamo il punto su questa situazione e tu mi aiuti a capire un po’ questa matassa perché non è tanto chiara». Dà  suggerimenti a Franco Frattini. Con Denis Verdini i suoi colloqui sono continui. Parlano di politica e, ovviamente, di inchieste. Quelle ormai di vecchia data, come la P3 in cui lui è indagato, e quelle di cui non si sa ancora nulla, come la P4. Non disdegna neppure Daniele Capezzone («Vediamoci con piacere, per scambiare due idee perché qui mi pare che si va a sbattere proprio»). È in familiarità  con il finiano Italo Bocchino («Dove sei? Io sto arrivando lì, se tu ce la fai ti dico una cosa al volo…»).
Ma è sulla stampa che Bisignani gioca il ruolo di Gran maestro e gran manovratore. Lui disegna gli organigrammi, sceglie gli uomini, ma anche gli obiettivi da appoggiare o da distruggere. L’ex direttore generale Mauro Masi è una sorta di “scendiletto”, un fedele esecutore dei suoi voleri, «il nostro eroe della Rai». Quando Bisignani decide che è tempo di liquidare Michele Santoro e Annozero detta direttamente a Masi la lettera di ammonimento per cacciarlo via. Poi ne parla così: quel giornalista «è una vergogna, gente che fa roba del genere è da licenziarla…». Tanto è potente nel Tg1 di Minzolini da rivedere perfino le interviste. Come quella col direttore del Corriere Ferruccio De Bortoli: «Sì, l’ho rivista, molto istituzionale, Augusto è un grande professionista…». Tutto il contrario di Maria Luisa Busi, l’ex conduttrice del Tg1, che Masi riesce a far buttare fuori.
Sulle aziende pubbliche e private Bisignani detta legge. Eccone una riprova. Il 25 ottobre del 2010 parla al telefono con il patron dell’Eni Paolo Scaroni. Il quale lo informa che «sta andando ad Arcore per incontrare Berlusconi». E Bisignani gli dà  un ordine: «Gli devi dire di fare l’accordo sulla giustizia. Si deve mettere d’accordo con Fini, e farla finita. Senno qui si va alle elezioni. Senno qui è la morta gora. È la rivolta di tutti i ministri. Per cui, o fai l’accordo mangiando tutto quello che devi mangiare, oppure chiudi la partita». Al presidente in quel momento di Mediobanca Cesare Geronzi (poi “promosso” al vertice delle Generali) è legato al punto che quando Salvatore Nastasi, il capo di gabinetto dell’ex ministro Sandro Bondi, ha bisogno di un appuntamento, chiede a lui «l’autorizzazione per ottenerne uno». È scritto proprio così nel brogliaccio di una telefonata intercettata: «Ho un messaggio da parte del dottor Nastasi…chiedeva al dottor Bisignani di poter avere…diciamo la sua autorizzazione per fissare un appuntamento con il dottor Geronzi».
Non sopporta quelli che si ribellano, il Bisignani, soprattutto se mancano di rispetto a Berlusconi e mettono in crisi governo vero e governo ombra. Su Gianfranco Fini si scatena. «Il camerata Fini? Torna camerata pare? Non è così? Hanno imbucato il Cavaliere in un casino, deficienti, deficienti proprio». A quelli di An non fa sconti. Si sfoga con Paolo Cirino Pomicino: «Berlusconi si è fatto mettere su da Ignazio, dagli ex colonnelli, che sono riusciti a fare con lui quello che non erano riusciti a fare loro stessi con Fini».
È una sola la preoccupazione del patron della loggia P4, che tutto crolli, che il Cavaliere cada, che lui stesso perda la posizione di premier ombra. Quando parla con il suo amico Flavio Briatore appare sconsolato: «Se adesso andiamo alle elezioni rischiamo di perderle. Se questi non gli fanno passare il processo breve, finisce che a Berlusconi (per il processo Mills, ndr.)gli danno cinque anni di condanna e l’interdizione dai pubblici uffici, ed è finito il gioco per tutti. Tutti, compresa la nostra amica Daniela (la Santanché, ndr.), che lo aizzano in questo modo. Lo stanno buttando in un baratro. Adesso meno male che gli altri se ne sono accorti, perché questo gruppetto di quelli della Destra nazionale ha usato Berlusconi per mandare a “fan culo” Fini, cosa che loro non erano mai riusciti a fare con le loro forze. Una vendetta traversale, e lui ci è cascato». Il potere del Cavaliere si logora, Bisignani capisce che tutto il suo potere rischia di sgonfiarsi. Se cade l’uno, cade anche l’altro.


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