Il paradosso di Pontida

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Diversamente da molte altre occasioni, l’intervento tanto atteso di Bossi era volto più a rassicurare e “far ragionare” la base leghista che a lanciare nuove sfide e traguardi. La Padania di ieri presentava il messaggio di Pontida come «ultimatum al governo», ma di fatto le richieste presentate sono facilmente negoziabili dalla maggioranza. Si tratta infatti di una mistura di richieste particolaristiche e “concrete” per alcune categorie sociali, unite a proposte di valore puramente simbolico – come il trasferimento dei ministeri al Nord – utili per alimentare il dibattito mediatico agitando la diversità  e la combattività  della Lega senza rischiare rotture della coalizione. Bossi ha inoltre dedicato buona parte del suo intervento a valorizzare le cose positive fatte grazie alla collaborazione con Berlusconi, e ad evocare i pericoli di elezioni anticipate perché «il ciclo storico» oggi è favorevole alla sinistra. Le grida della base «secessione, secessione», infine, non sono state solo un segnale identitario, bensì un richiamo a una svolta forte e tempestiva della politica leghista, senza paura di condurre battaglie radicali anche in solitudine. Anche le scritte e gli slogan per «Maroni presidente del consiglio» segnalavano la volontà  di imprimere una svolta all’attuale quadro politico.

Come si è arrivati a questa situazione, in cui la Lega è visibilmente in difficoltà  ma non trova sbocchi politici facilmente praticabili?
Il consenso elettorale per il Carroccio ha un profilo molto diverso da quello degli altri partiti. Si è creato nel corso del tempo un elettorato di appartenenza leghista, radicato soprattutto in una area territoriale. Ma il peso politico del partito di Bossi si è soprattutto basato sulla sua capacità  di ottenere ondate di successi elettorali, in cui le sue percentuali di voto raddoppiano, per poi ridimensionarsi tornando al solo elettorato di appartenenza. Queste ondate si sono alimentate di tematiche diverse dal federalismo e dalla semplice domanda di autonomia per il Nord. Nella prima ondata, culminata nel 1992, la protesta contro i partiti della prima Repubblica; nella seconda, culminata nel 1996, la protesta contro le due coalizioni che si candidavano il governo nazionale nella seconda Repubblica. Nella terza, invece, il freno dei flussi immigratori e la domanda di sicurezza, due questioni tipicamente nazionali. La forte connotazione dell’impegno politico del Carroccio sulla questione dell’immigrazione ha cambiato il profilo politico del suo elettorato. Sono cresciute notevolmente le disponibilità  al voto per la Lega tra gli elettori che si definiscono di centrodestra e di destra, mentre sono diminuite in modo significativo tra gli elettori di centro e di centrosinistra. Il Carroccio è diventato così molto più integrato e vincolato ai valori e agli atteggiamenti che caratterizzano l’elettorato di centrodestra, e una rottura con i partiti che lo rappresentano è diventata sempre più difficile e costosa. Nelle prime due ondate la Lega era da sola, e accentuava la polemica contro tutti i partiti, nelle terza Bossi era strettamente alleato con il centrodestra: una rottura con Berlusconi metterebbe i crisi il ruolo di governo della Lega non sono a Roma ma anche in moltissime amministrazioni locali e regionali.
La crisi ha però ridimensionato l’attenzione per il temi dell’immigrazione e della sicurezza, spostando le preoccupazioni più sulle questioni dell’economia e del lavoro, sulla disoccupazione, la precarietà  e i bassi livelli dei salari e delle pensioni. In questo contesto, il ruolo di “sindacato del territorio” riconosciuto alla Lega da diversi commentatori appare sempre più difficile da esercitare: mancando le risorse, e dovendosi in ogni caso rispettare decisioni condivise a livello nazionale o regionale, la rappresentanza del territorio si può esprimere solo a livello simbolico, con iniziative prive di effetti concreti.
La Lega ha perso così un terzo dei voti a Milano e ha subito perdite significative in quasi tutte le località  in cui si è votato. Ai referendum, metà  degli elettori leghisti si è recato a votare per contestare leggi proposte dal governo. Sono segni evidenti, per i dirigenti leghisti, che il ciclo di espansione avviato nel 2008 sta per finire: con una riduzione dei consensi elettorali che può essere simile a quelle del passato.
In questo contesto, il paradosso di Pontida sembra rappresentare da una parte la ferma volontà  dei dirigenti leghisti di rimandare il più possibile la prossima tornata elettorale, dall’altra parte gli umori di una base che riflette il clima sociale percepito sul territorio, molto scontenta del governo attuale e preocupata per un futuro sempre più problematico.


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