Il dovere di fare di più

by Editore | 25 Giugno 2011 6:07

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E ancora ieri le ultime resistenze tattiche di Parigi sono state superate soltanto dopo che Bini Smaghi si era tardivamente impegnato a dimettersi. Simili premesse servono a dare la misura dell’importanza della posta in gioco, e giustificano i compiacimenti che dal Quirinale al governo e all’opposizione hanno salutato, per una volta con spirito bipartisan, il successo ottenuto dall’Italia sulla scia del prestigio personale di Draghi. Ma se la festa è grande, sono proprio le sue rilevanti implicazioni a ricordarci che a poco servirebbero le luminarie se l’Italia non percepisse, dopo la nomina di Draghi, una nuova e più forte responsabilità  nazionale. In assenza della quale il simbolico tricolore piantato sull’Eurotower di Francoforte, invece di esaltare il nostro ruolo, finirebbe per evidenziare quanto sia lontana la nostra realtà  interna da quell’isolato vessillo. Le prove che ci aspettano in casa nostra non sono da poco. Si dovrà  nominare, possibilmente senza lacerazioni, il successore di Draghi in Banca d’Italia. Si dovrebbe, e qui il condizionale diventa più forte, porre fine a una confusione politica che ormai sembra non avere più limiti, e che spaventa i mercati. Dovrà  essere definita quella manovra economico-finanziaria che suscita improvvide tensioni nella stessa maggioranza di governo, mentre deve invece servire a collocare stabilmente l’Italia sui binari che portano al pareggio di bilancio nel 2014. Bisogna capire, insomma, che alla nostra festa partecipa un minaccioso convitato di pietra, dal quale, in assenza di nuove prese di coscienza e di azioni conseguenti, non basterà  a proteggerci la presenza di Mario Draghi alla Bce. L’emergenza greca è tutt’altro che superata, e conserverà , per parecchio tempo ancora, il suo potere di contagio verso un’Italia resa vulnerabile dalla pesantezza del suo debito pubblico e dall’estrema leggerezza della sua crescita. Tanto più che, pur adottando il metodo consigliato dalla Bce per coinvolgere i creditori privati di Atene, non è detto che le agenzie di rating (misurano l’affidabilità  di un Paese nella restituzione dei debiti ma la cui supposta imparzialità  meriterebbe un discorso a parte) rinuncino a considerare insolvente la Grecia scuotendo così ulteriormente l’intero edificio dell’euro. Un assaggio lo abbiamo appena avuto con le ricadute dell’avvertimento lanciato da Moody’s a sedici nostre banche. E tuttavia l’Italia può farcela. A condizione che il successo di Draghi ci serva da stimolo e da promemoria, e ci dica, tra una tromba e l’altra, che il tempo della propaganda e delle risse è finito

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