by Editore | 12 Giugno 2011 6:06
ROMA— Le formule matematiche del giorno prima a poco servono per cristallizzare l’affluenza alle urne e, dunque, per tentare di prevedere il superamento del quorum (50 per cento più uno) capace di rendere valido il risultato dei referendum abrogativi. Tuttavia, dalle serie storiche ripescate in archivio dalla Direzione centrale dei servizi elettorali del Viminale emergono due costanti: dal 1974, il quorum alle 15 del lunedì è scattato solo quando l’affluenza dei votanti aveva superato il 10%alle 12 della domenica (con tre eccezioni nell’ 87, nel ’ 91 e nel ’ 93) e aveva scavallato la soglia di sicurezza del 45%la domenica sera. Occhi puntati, dunque, sui dati che il ministero dell’Interno diffonderà oggi alle 10 e alle 22 perché già su quelle percentuali nazionali sul tasso di astensionismo potrebbe giocarsi la validità dei quattro referendum. E seguendo questa griglia c’è anche il caso del 1990, quando non fu raggiunto il quorum per sette punti (43,4%). Il 3 e il 4 giugno di quell’anno si votò per abolire la disciplina sulla caccia: alle 12 della domenica aveva votato il 5,1%ma la sera alle 22 si era recato alle urne il 31,5%degli italiani. Un dato che aveva fatto sperare (inutilmente, si è visto il giorno dopo) il fronte referendario. Renato Mannheimer, sondaggista alla guida dei ricercatori dell’Ispo, dice che è molto difficile fare previsioni: «Certo, sotto la soglia del 10%dei votanti alle 12 della domenica sarà molto difficile centrare l’obiettivo del quorum anche se non possiamo considerare l’affluenza alle urne come un flusso costante…» . Ha più certezze Roberto Weber (Swg di Trieste) che sposta, anche se di poco, la soglia di accesso al quorum: «Io direi che alle 12 della domenica ci vuole almeno il 12-13%mentre alle 22 bisogna raggiungere il 37-38%» . Mannheimer segnala che sarà determinante il Sud (nel Mezzogiorno, storicamente, si vota di meno) mentre Weber mette l’accento sulla «quota crescente di elettori leghisti che hanno dichiarato di volersi recare alle urne» . Il fattore climatico (tempo bello, astensionismo alto) «non avrà un peso determinante» dice Maurizio Migliavacca, l’esperto di flussi elettorali del Pd: «Il 10%alle 12 della domenica è una soglia storicamente significativa per il raggiungimento del quorum. Meglio però l’ 11 o il 12%che sarebbero un segnale positivo. E poi, considerando che il lunedì mattina vota tra il 10 e il 15%degli elettori, la domenica sera l’affluenza utile per il quorum non dovrebbe essere inferiore al 35-40%» . Più cauto Peppino Calderisi (ex radicale oggi deputato del Pdl) che, non sottovalutando il fattore di una domenica di sole capace di tenere lontani dalle urne gli italiani, preferisce non ancorarsi a regole rigide: «Il 10% alle 12 domenica è un buon segnale per i referendari? Non credo in queste formule perché, a mio parere, il quorum si può raggiungere anche se la domenica mattina va a votare meno del 10%del corpo elettorale» . E così, vale pena ricordare che al primo turno della amministrative 2011 ha votato il 68,58%(12,85%alle 12 di domenica, 49,67%alle 22) mentre al secondo turno l’affluenza è scesa al 60,12%(12,85%alle 12, 43,51%alle 22). Dal 2003, infine, c’è una nuova variabile che il Viminale ha contabilizzato con pignoleria. Il voto degli italiani residenti nella circoscrizione estera, dove quasi nessuno compila la scheda, «pesa» sul dato di affluenza definitivo (Italia+Estero) in misura variabile: nel 2003 (reintegrazione lavoratori legittimamente licenziati, quorum non raggiunto) la media italiana di affluenza fu del 25,9%ma all’estero scese al 23,1%. Risultato Italia+Estero, elaborato dal Viminale, 25,7%(-0,2%). Più «pesante» è stato l’apporto negativo sull’affluenza nel 2005 quando, senza successo per il quorum, si sono svolti i quattro referendum sulla procreazione medicalmente assistita: allora il differenziale Italia (26%) Estero (20%) ha portato a un dato di affluenza del 25,6%.
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