I nuovi operai Apolitici e aziendalisti

by Editore | 22 Giugno 2011 7:13

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A commissionarla è stato il Pd per la sua recente Conferenza del lavoro, ma «l’indagine sulla condizione operaia in Italia» presentata da Roberto Weber è rimasta sotto traccia durante la due giorni genovese. Eppure a spulciare le tabelle presentate dal direttore della Swg si trovano diverse novità  e, se una volta Aris Accornero aveva rimproverato la sinistra di aver fatto degli operai «una macchina per la lotta di classe» , oggi siamo lontani anni luce da quel modello. Gli operai in carne ed ossa delineati da Weber nel suo rapporto di ricerca sono di un altro secolo: politicamente orfani, sindacalmente freddi, sempre più aziendalisti e in materia di rivendicazioni decisamente orientati a chiedere più salario. «La de-ideologizzazione del mondo del lavoro è iniziata da tempo, ma con questa indagine appare compiuta — sottolinea Weber —. E si delinea una prossimità  tra azienda e lavoratore, tra chi vende e chi compra lavoro, che non può più essere ignorata» . L’indagine è stata realizzata tramite interviste a un campione (600 operai) pienamente rappresentativo dal punto di vista delle differenze di genere, anagrafiche e territoriali. Si comincia a lavorare in fabbrica molto presto (in media a 19 anni), l’orario settimanale è di 37 ore e la retribuzione di 1.100 euro con uno scarto di 380 euro tra uomini e donne. Alla impegnativa domanda «da quale area politica si sente maggiormente tutelato come lavoratore» il 31%degli operai risponde «dalla sinistra e dal centro-sinistra» , il 18%«dalla destra e dal centro-destra» e solo il 3%dal «centro» . Resta fuori però la fetta più ampia: un 42%che non ha remore a rispondere: «da nessuno» . Commenta preoccupato Weber: «C’è il pericolo che questo segmento diventi l’anticamera di una vasta area di qualunquismo e un bacino di voti per aree politiche che per cultura/valori/ideologia hanno da condividere ben poco con la classe operaia» . In sostanza la sinistra conferma il suo primato, tiene a distanza il centro-destra (che pure si giova del populismo leghista), ma lascia scoperta la maggioranza relativa delle tute blu che prende risolutamente le distanze dalla politica in quanto tale. I segnali di maggior spaesamento vengono dalle donne (quel 42%diventa 52%) e da quanti hanno un contratto a tempo determinato (57%). La seconda sorpresa arriva dalla valutazione del proprio lavoro: piace «molto o abbastanza» alla grande maggioranza. È soddisfatto il 67%degli operai comuni e l’ 80%degli specializzati! Una percentuale così elevata è un effetto della Grande crisi, per cui chi un lavoro ce l’ha non guarda più tanto per il sottile? I ricercatori non lo escludono, ma sostengono che si tratta di un processo di lungo periodo. La cultura del conflitto scema e risulta molto attenuata, resta solo un’extrema ratio e cresce invece una valutazione più oggettiva della propria condizione lavorativa. Oggettiva non vuol dire acritica, tanto è vero che il 43%degli intervistati pensa che il proprio lavoro richieda esperienze professionali che però non sono riconosciute (un 30%pensa invece di sì). Per questo motivo il 48%degli intervistati chiede di essere pagato meglio. E il riconoscimento economico supera nettamente le altre rivendicazioni, come la richiesta di «più sicurezza per il futuro» (27%) e di «più gratificazione professionale» (19%). Del resto da una tabella costruita dalla Swg abbiamo un riepilogo delle retribuzioni operaie: solo il 13 supera i 1.500 euro mensili netti, il 43%guadagna tra mille e 1.500 euro e ben il 41%resta sotto quota mille. Le tensioni sul salario si spiegano così, con paghe tra le più basse d’Europa. Di grande interesse (e novità ) è anche il giudizio operaio sulle risposte messe in campo davanti alla recessione. Qui la «prossimità » o «complicità » con il datore di lavoro balza fuori netta. Alla domanda come «la tua azienda ha saputo rispondere alla crisi» gli operai del campione Swg rispondono per il 72%«molto bene o abbastanza bene» . Solo il 28%è critico nei confronti del proprio padrone per le scelte che ha fatto/non fatto per arginare il vento contrario. Se la stessa domanda («come ha saputo rispondere» ) ha come soggetto il sindacato, il giudizio degli operai cambia radicalmente e si fa severo. Solo il 33%pensa che i sindacati abbiano risposto «molto o abbastanza bene» alle sfide della crisi, mentre il 67%li boccia senza appello. Nei confronti del sindacalismo i lavoratori sono in generale molto critici. Solo il 31%valuta positivamente l’azione dei propri delegati di fabbrica, la percentuale scende al 26 quando la domanda riguarda i funzionari sindacali esterni (di territorio) e precipita al 22%quando il giudizio è richiesto sui leader nazionali. (Weber, rapportando quest’ultimo dato ai risultati di analoghe indagini svolte in passato, segnala un secco dimezzamento). Fanno eccezione al grande freddo gli iscritti alla Cgil compresi nel campione che dimostrano maggior patriottismo di organizzazione e danno un giudizio positivo al 56%per i propri delegati di fabbrica, al 44%per i funzionari esterni e al 35%per i leader romani. Dai sindacati in questo momento cosa vorreste? La risposta più gettonata è «più unità » (43%), seguita da «più azione contrattuale» (23%) e da «più ragionevolezza» (19%). Weber sottolinea come solo l’ 8%chieda «più conflittualità » . Lo scioperismo fine a se stesso non sembra contare molti seguaci. Infine il caso Mirafiori. Il giudizio sull’accordo tra alcuni sindacati e la Fiat di Sergio Marchionne è giudicato «un ricatto» dal 33%mentre il 30%lo considera al contrario «una necessità » . Un altro 13%lo giudica drasticamente come «un abbandono delle conquiste del ’ 900» e questa fazione più pessimista è bilanciata da una analoga tribù di ottimisti che interpretano Mirafiori come «una modernizzazione dei rapporti di lavoro» . Davanti a un materiale di indagine così ricco le conclusioni non sono facili, ma Weber ne trae almeno una (di metodo) rivolta al committente (il Pd): «Dopo il tempo dell’ideologia che c’è stato un vuoto di intervento. Ora questi dati dimostrano i grandi cambiamenti intervenuti e delineano nuovi spazi di intervento. Ma per riaprire un rapporto più fecondo tra gli operai e il centro-sinistra non si può vivere di rendita, è arrivato il tempo di ri-seminare»

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