I consigli dei cinquanta saggi diventano un bestseller
Malgrado qualche successo in elezioni locali anche di rilievo, la sinistra pare in serio affanno in tutt’Europa. Quanto al modo di reagire si registrano però differenze importanti tra un paese e l’altro. Da noi, ad esempio, malgrado l’incoraggiante effervescenza di movimenti di varia natura (viola, arancione, ecologisti e altri), la sinistra “istituzionale” sembra aver perduto da un pezzo, insieme a una buona parte dell’elettorato, anche la capacità di generare idee strategiche serie e nuove; altrove invece si sforza di elaborare progetti per uscire dal pantano. La Francia è tra i paesi in cui quest’impegno è più forte: Indignez-vous, il modesto ma vibrante libretto di Stéphane Hessel, è stato per mesi in cima alle classifiche, segno eloquente di una diffusa preoccupazione per il futuro (della sinistra e del pianeta); e da qualche settimana è un bestseller anche il volumone Pour changer de civilisation (Odile Jacob, pagg. 439, euro 16,50), i cui autori sono “50 ricercatori e cittadini”. Il forte senso dell’ego che è tipico della tradizione francese spiega il titolo un po’ madornale e il modo di indicare gli autori (che da noi sarebbe impraticabile). Ma sta di fatto che tra quei cinquanta “ricercatori e cittadini”, a cui Martine Aubry mette come cappello un suo discorso-comizio piuttosto vago, stanno alcuni dei migliori cervelli francesi (e alcuni stranieri, come Ulrich Beck e Saskia Sassen) in molti campi. Su richiesta del “Laboratoire des idées” (altro nome sonante) del Partito Socialista, questi hanno indicato nodi irrisolti e prodotto proposte per restituire alla sinistra l’energia di governo che ha perduto; e questo volume è l’imponente sintesi di questo lavoro.
I temi sono organizzati a cerchi concentrici: da un gruppo di interventi sul “disordine del mondo” (le conseguenze politiche, economiche, culturali della globalizzazione, come la crisi del lavoro e l’immigrazione) si plana su una sezione sull'”uguaglianza reale”, poi si discute della “società creativa” (istruzione, ricerca, arte) e infine sui meccanismi della democrazia (lavoro, rappresentanza, partecipazione, sicurezza, ecc.). Per il lettore italiano la lettura del volume è parecchio mortificante, perché dà la percezione del crepaccio che c’è tra loro e noi: solo a considerare i titoli delle sezioni ci si chiede come mai in Francia si abbia il coraggio di affrontare temi come “il disordine del mondo”, mentre da noi la sinistra si chiede tutt’al più cosa fare con Di Pietro e con Casini. L’afflizione aumenta se si guarda ai singoli contributi, quasi tutti disegnati sullo sfondo dell’inquietudine per il capitalismo globale (che da noi non turba nessuno, ma che in questo volume è il vero protagonista) e carichi di una spinta propulsiva ignota alla depressiva sinistra del nostro depresso paese.
Cito qualche esempio che più colpisce, anche per dare un’idea dello spirito ardimentoso che soffia nel libro. Jean-Michel Severino addita il fenomeno tutto moderno dell'”inversione delle penurie”: dopo aver concepito per secoli la natura come abbondante e gli uomini come scarsi, ora la presenza umana s’accresce mentre la natura comincia a scarseggiare. Ciò impone un’autorità planetaria per le regolazioni. L’idea di regolazione e di governance è del resto uno dei temi ricorrenti del volume, dove appare come mezzo per contrastare un sistema in cui (parole di Marcel Gauchet, uno dei teorici più acuti di Francia) “i mezzi poveri pagano per i poveri totali”. Thomas Piketty, che tocca senza timore l’enorme questione di “domare il capitalismo del XXI secolo”, suggerisce una “rivoluzione fiscale”: instaurare un potere pubblico europeo capace di applicare tassi realmente progressivi, che operino come dissuasione rispetto ai redditi superiori al livello massimo politicamente e eticamente accettabile. Nella stessa vena Guillaume Duval pone un problema che la nostra sinistra non ha mai percepito: come fissare, oltre che un salario minimo, anche un “salario massimo”? Se “il cuore del progetto della sinistra” (dice Ernst Hillebrand) è lo stato sociale redistributivo, il fenomeno recente delle retribuzioni senza limite (i capi possono guadagnare oggi 400 o 500 volte più del loro dipendente meno pagato) è uno scandalo intollerabile a cui va posto riparo.
Chi è nauseato dalla “corta veduta” della politica italiana respira un’altra aria quando nel volume trova richiamata la necessità di immaginare nuove scale per i problemi, più ampi orizzonti per le decisioni. Per Jacques Lévy è urgente includere la “dimensione Mondo” tra le scale pertinenti per l’analisi e la decisione politica, e il governo dei beni naturali non va lasciato alla cooperazione o alla rivalità tra stati ma trattato come una questione di scala mondiale. Pierre Rosanvallon segnala le trappole della “miopia democratica” (quella che Condorcet chiamava “la democrazia immediata”), che affronta i temi del momento senza preveder nulla del futuro né domandarsi quali effetti avranno le decisioni di oggi. Questa miopia andrebbe contrastata con la “preoccupazione del lungo termine”. Per Rosanvallon le due prospettive possono essere integrate mediante una “dualità rappresentativa”: al parlamento (che gestisce il breve termine) andrebbe affiancata un'”accademia del futuro”, col compito di lanciare dei “forum dell’avvenire”, in cui i cittadini offrano idee, suggerimenti e proposte. Ciò può costituire anche una nuova istanza di partecipazione, essenziale per cittadini che si sono stancati della “democrazia a bassa intensità ” dei tempi moderni, dove la classe politica è sempre più distante dal livello di terra.
Nouvelle cuisine applicata alla politica? Può anche essere: ma preferiamo il pensiero tiepido all’italiana? Sogni e esagerazioni? Paul Valéry diceva che “il modo migliore per realizzare un sogno è svegliarsi”. Ma prim’ancora bisogna averlo sognato.
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