Green economy e pale eoliche così la Germania spegne il nucleare

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berlino – Oggi forniscono ancora circa un quinto del fabbisogno d’energia alla prima economia europea, dal 2022 non saranno altro che ruderi, come vecchie fabbriche ottocentesche chiuse e in rovina, o parchi giochi come già  è il caso dell’ex reattore a Kalkar. Ieri la Germania di Angela Merkel ha definitivamente voltato pagina: con un segnale e una sfida esemplare al mondo, la potenza industriale numero uno indiscussa nel Vecchio continente e quarta a livello mondiale, la patria delle migliori eccellenze tecnologiche europee, ha varato a livello ufficiale il preannunciato addio all’atomo civile. Non importa se costerà  caro: la gente lo vuole, dopo Fukushima il “rischio residuo” di incidenti e tragedie è ritenuto troppo importante sia dai politici sia da chi li elegge.
Nessuno ci aveva mai provato, a restare potenza industriale con i massimi livelli di competitività  globale senza più un kilowatt di energia nucleare. Nessuno, o meglio nessuno a parte un precedente governo tedesco, quello di sinistra (Spd-Verdi) eletto nel settembre 1998. Il cui piano di addio a tappe all’atomo, inizialmente rinnegato dal centrodestra con uno spettacolare riavvicinamento alla lobby atomica (2009), è ora riabilitato alla grande, e anzi accelerato rispetto a quanto annunciato la settimana scorsa. Il progetto di legge dovrà  ora andare all’esame del Bundestag, la prima camera del Parlamento federale, e del Bundesrat, la Camera degli Stati. Per le sinistre ora all’opposizione – i Verdi in ascesa, in alcuni sondaggi primo partito nazionale o quasi, la Spd debole e senza strategia – è una vittoria morale postuma. Angela Merkel lo riconosce con umiltà , scrive la Sueddeutsche Zeitung, pur di seguire timori e dubbi del paese dopo la tragedia giapponese.
È insieme un messaggio al mondo e una scommessa esposta al rischio di costi pesanti, l’addio tedesco al nucleare, in controtendenza assoluta rispetto a Francia e Usa, Regno Unito o nuove potenze come Cina India o Brasile. I costi, a seconda delle diverse valutazioni degli esperti, oscilleranno tra i 90 e i 200 miliardi di euro. Il solo spegnimento e smantellamento dei reattori costerà  28,7 miliardi. Il piano è rapido: dei 17 reattori tedeschi, otto sono già  spenti (sette per controlli di sicurezza ordinati dopo Fukushima, uno già  prima per manutenzione) e non verranno riaccesi. Già  ora dunque la percentuale di energia fornita dall’atomo all’economia-modello del mondo industriale scende allo stesso livello delle rinnovabili. Dei nove reattori ancora attivi, uno sarà  spento nel 2015, uno nel 2017, uno nel 2019, tre nel 2021 e tre nel 2022. Solo un reattore verrà  tenuto in “standby”, per eventuale produzione in caso di emergenze come blackout, aumento del fabbisogno per inverni rigidi o altri casi-limite. Ma le energie rinnovabili dovranno fornire nel 2022 il 35 per cento del fabbisogno, nel 2030 il 50 per cento, il 60 per cento nel 2040 e l’80 per cento nel 2050.
Addio all’atomo, ma non per vivere al buio, né per rinnegare l’obiettivo globale di produrre ed esportare sempre di più o la priorità  strategica ai primati d’eccellenza da global player e all’occupazione. Il governo Merkel vuole investire a breve 5 miliardi di euro per enormi parchi eolici marini, 1,5 miliardi per il risanamento degli edifici onde ridurre il consumo per il riscaldamento. Vuole costruire in corsa nuove centrali a carbone e a gas e nuove linee ad alta tensione, e venire incontro alle industrie per compensare aumenti del caro-energia derivanti dall’addio al nucleare, e accelerare al massimo nello sviluppo delle nuove tecnologie. Il “big dream” del centrodestra tedesco potrà  costare caro al contribuente, ma vuol fare della Bundesrepublik il numero uno mondiale anche nelle tecnologie verdi: il meglio delle tecnologie nelle rinnovabili, da vendere ovunque come oggi le Bmw e le Mercedes.

 


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