Giustizia per Aldro

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Patrizia Moretti è la madre di Federico Aldrovandi. È in macchina, insieme al marito e al fratello di ‘Aldro’, il ragazzo massacrato di botte alle prime ore del mattino vicino a un parchetto, mentre rincasava. Aveva diciotto anni, era il 25 settembre del 2005. Patrizia sta rincasando dalla lettura della sentenza, è quasi arrivata al portone della sua casa.

“Siamo contenti, anche se non è ancora la sentenza definitiva. Per quello ci vorrà  la Cassazione, anche perché gli avvocati degli imputati hanno già  annunciato ricorso. Ma è una sentenza fondamentale, perché conferma quanto stabilito dal tribunale in primo grado. È importante per noi, per Federico e per tutte quelle famiglie che hanno avuto una vittima per mano delle forze dell’ordine. E poi le sentenze di questo tipo non sono molte, spesso quando si denuncia un agente di polizia, o di altri corpi, le vicende processuali vengono messe nel dimenticatoio. Come famiglia siamo riusciti a difenderci solo per l’interesse dell’opinione pubblica: non avremmo mai avuto giustizia se la gente non ci avesse sostenuto. Quindi il nostro grazie va a loro, ai giornalisti, ai blogger, alla rete perché hanno fatto passaparola e ci hanno sostenuto fino ad arrivare a una giustizia che altrimenti non avremmo avuto. Ricordo che altri poliziotti sono stati condannati per depistaggi: è una cosa che succede spesso. Sono molti i casi che ho conosciuto da vicino dove i colleghi degli imputati tendono ad avere questo atteggiamento che infanga le istituzioni. La cosa che chiedo a gran voce, e che chiederò anche dopo la Cassazione, è che questi vengano espulsi dalla corpo di polizia, perchè sono ancora lì”.

Patrizia, hai ancora delle querele. Il paradosso di questa vicenda è che la madre di Federico debba sopportare anche di essere denunciata da quegli stessi imputati, riconosciuti colpevoli già  in due sentenze.

“Molte di queste sono state archiviate, man mano che procedevano i processi. Non erano querele solo contro di me, ma anche contro chi aveva scritto sul blog dove denunciavamo il silenzio sul caso. Chiamavamo ‘delinquenti’ quelli che ora sono riconosciuti come gli autori della morte di mio figlio. E che sono delinquenti. Fra queste querele rimane in piedi quella della pm Manuela Guerra. Io ho scritto che doveva indagare, mentre il suo faldone, all’epoca dei depistaggi, rimaneva vuoto. E chi altri doveva indagare se non lei?”.


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