Giornata di resistenza in Orissa

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Il complesso industriale richiede 3.000 acri di terreno, poco più di 1.200 ettari, in una zona densamente abitata e coltivata. Otto villaggi in tre municipi rurali, con almeno 25mila persone, resteranno senza terra da coltivare né accesso al fiume per pescare, e in parte anche senza case (vedi il manifesto del 16 febbraio 2011); due municipi su tre infatti hanno formalmente votato contro la cessione delle terre. E però, dopo una lunga trafila, il 2 maggio scorso il ministero dell’ambiente di New Delhi ha autorizzato il «cambiamento d’uso» di quelle terre, sia pure con alcune condizioni.
Nell’ultimo mese dunque il processo di «acquisizione» delle terre è ripreso – e anche l’agitazione popolare. Le ultime notizie si riferiscono al 10 giugno. «Donne, bambini, anziani, giovani e uomini di Dhinkia, Govindpur e altri villaggi del distretto Jagatsinghpur» stanno occupando le terre, dice la nota del Esg-India. «Da parecchi giorni oltre un migliaio di agenti di polizia sono stati dispiegati nella zona per creare un clima di paura nelle comunità . Da diverse settimane ormai il governo dell’Orissa procede con acquisizioni forzate, e il 10 giugno intendeva procedere allo sgombero dei villaggi di Dhinkia e Govindpur, che sono da sei anni l’epicentro della pacifica resistenza. Dalle prime ore del mattino, centinaia di poliziotti armati erano schierati di fronte a oltre 3.000 abitanti accoccolati a terra, che rifiutavano di muoversi dalle proprie terre. La pioggia pesante del mattino ha lasciato posto a una giornata caldissima (in India è la stagione del monsone estivo, ndr). Nessuno però si è mosso», continua la cronaca. «La polizia allora ha tentato tattiche violente: attraverso i megafoni hanno intimato agli abitanti di liberare l’accesso e consegnare i propri leader, altrimenti la polizia avrebbe caricato con lathi (manganelli di bambù) e gas lacrimogeni. Hanno perfino minacciato di sparare su dimostranti pacifici e disarmati. Nessuno però si è mosso. La polizia si è ritirata a tarda sera, senza aver potuto rompere questa straordinaria resistenza popolare».
Una vittori: ma «la minaccia di sgombero non è finita», conclude la nota, e il «Comitato contro il progetto Posco» (Posco Pratirod Sangram Samiti), sorto per opporsi all’esproprio, ora fa appello a non lasciarli soli, visitare i loro villaggi, dare pubblicità  al loro caso. Il Comitato sostiene che la requisizione di quelle terre è illegittima: sono in gran parte classificate come «territorio forestale» (terra del demanio statale non destinata a usi commerciali), e la legislazione indiana riconosce i diritti d’uso della popolazione che vi abita. Per ottenere il cambio d’uso il governo dell’Orissa ha «categoricamente assicurato» che si trattava di terre improduttive sui cui nessuno poteva rivendicare diritti. Falso, ci aveva detto tempo fa il portavoce del comitato anti-Posco: «In quei villaggi pochi hanno terra in proprietà , per lo più sono braccianti su terre demaniali, e il governo trasforma un bene comune in una concessione privata».


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