Gates: “Sì, parliamo con i Taliban” iniziato il ritiro Usa dall’Afghanistan
NEW YORK – Non solo gli americani stanno trattando con i Taliban, ma il ritiro dall’Afghanistan è già cominciato. I due battaglioni da 800 uomini che il generale David Petraeus aspettava per luglio non arriveranno più. Nuova destinazione: Kuwait, per dare una mano ai 48mila ancora in Iraq dove è già terminata la missione combattente. Il sogno della fine della guerra si avvera un anno dopo anche in Afghanistan? Era stato Barack Obama a condizionare all’inizio del ritiro l’invio di altre 30mila uomini. Ma quella data – luglio 2011 – era sembrata simbolica. Tutto è cambiato nel giro di poche settimane. Perfino il capo del Pentagono Bob Gates – confermando i colloqui con i ribelli – ora dice che il numero dei soldati da rimandare a casa deve essere «politicamente credibile»: lui che frenava temendo di mettere a rischio i “progressi” sul campo. Toccherà a Obama questa settimana dare i numeri. Via solo 5mila dei 135mila americani laggiù? O addirittura 30mila – cioè l’esatto numero del “surge” deciso nel dicembre 2009 – come vorrebbero i più ottimisti?
Gates non entra nel gioco delle cifre. Specifica, poi, che i colloqui con i Taliban «sono a livello iniziale» e che «prima dell’inverno» non potremo vederne i risultati. Ma qualcosa si sta muovendo. Obama ha sempre argomentato che a differenza dell’Iraq quella in Afghanistan era una guerra giusta. L’obiettivo era impedire ad Al Qaeda di colpire ancora. Ma tra quelle montagne – rivela il New York Times – la rete è disfatta. Dei 30 capoccia di Bin Laden 20 sono stati uccisi. E di quei dieci rimasti non si fidava più neppure Osama: come dimostrano le carte trovate nel covo pakistano. Anche qui Gates gioca in difesa. Al Qaeda – chiarisce – non è purtroppo scomparsa ma si è ridotta in diversi gruppi regionali: riuscirà il nuovo capo Al Zawahiri a tenerli insieme?
La verità è politica: a un anno e mezzo dalle presidenziali i sondaggi dicono che l’America è stanca di guerra. Solo il guerriero John McCain invita i repubblicani a tenere duro. I sindaci delle principali città – Mike Bloomberg a New York in testa – firmano invece un documento che chiede di affrettare la fine. Lo dimostra anche la poco diplomatica uscita dell’ambasciatore in Afghanistan. Dopo l’ennesima tiritera anti-alleati di Hamid Karzai il buon Eikenberry ha replicato che «gli americani che danno la vita per questo paese» cominciano «a perdere la forza per andare avanti». Il destino della guerra è segnato: quello della pace resta un’incognita.
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