by Editore | 24 Giugno 2011 16:21
E così alla signora stò Gas gli è suonata parola assai familiare e di buon senso. I suoi pensieri sono tornati a quando era giovane e più o meno si faceva proprio così, nel suo paese oggi ridotto a un mucchio informe di pietre. Ai tempi in cui c’erano i fiori e le tende ricamate alle finestre, i vicoli erano abitati da tante voci e dai bambini, i campi erano tutti coltivati, il forno in piazza veniva acceso per fare il pane per tutti, arrivava con l’ape quello dell’olio e delle alici a rifornire il paese, le patate andavano a cavarle gruppi di zappatori che senza saperlo erano correntisti di una banca del tempo. Ai tempi in cui si era tutti più poveri, ma, se la memoria non inganna, il tempo scorreva più lentamente, si era meno soli e forse un po’ più felici.
Economia del noi. Comuni Virtuosi. Rete della Decrescita. E ancora, Città di Transizione. Altra economia. Chilometro zero. Filiera corta. Capitale delle relazioni. Decrescita felice. Anche queste parole, commestibili per la gente che ha studiato, a saperle spiegare con altrettanta semplicità , non sarebbero affatto estranee alla vecchietta del cratere. Parole che saranno protagoniste questo fine settimana L’Aquila in occasione dello Sbarco Gas 2011[1], una tre giorni di assemblee, seminari, mercati contadini, commerci equi e solidali, escursioni, musica e laboratori. L’evento organizzato e autofinanziato dalla Rete dell’economia solidale abruzzese rappresenterà gli stati generali dei Gruppi di acquisto solidali italiani, una realtà in crescita esponenziale: oltre 1.500 i gruppi, ovvero almeno 160mila persone e oltre 50mila nuclei familiari, che spendono in media 2.000 euro all’anno ciascuna.
Al boom dei gas, nati appena dieci anni fa segue quello degli acquisti diretti da parte dei singoli consumatori presso i produttori: sono l’11 per cento degli italiani e ben il 47 per cento ha dichiarato di farlo almeno qualche volta durante l’anno. Questa modalità consapevole e responsabile del consumare assicura senza interessi l’esistenza a centinaia e centinaia di piccole attività agricole e artigianali, tagliate fuori dalla grande distribuzione, e che sono un presidio di qualità , biodiversità e resistenza, in particolare nell’Italia minore, quella delle aree interne e montane, soggette a un inarrestabile e drammatico spopolamento e declino. I Gas e la filiera corta, anche qui nell’Aquilano, sono stati determinanti per salvare tanti piccoli produttori agricoli che all’indomani del sisma erano rimasti senza mercato locale e i consueti canali di distribuzione.
L’evocazione di mondi possibili e diversi, il disegnare vie di fuga dal crollo imminente della volta celeste dell’economia globale, hanno poi un senso tutto particolare qui a L’Aquila, specchio infranto di un paese periferia dell’Europa dei banchieri e dei lobbysti, degli stati in bancarotta e delle città magari tutte intere, ma dove ad essere lacerato e commissariato anche lì è il senso dell’abitare e del vivere quotidiano.
Nel cratere sismico la ricostruzione si è incagliata prima di cominciare a causa degli scaricabarili e delle ammuine tra i vari politicanti, si sta smarrendo nella burocrazia bizantina, è bloccata dalle guerre intestine tra le cricche di professionisti e palazzinari, banchieri e notabili, cosche e faccendieri di ogni sorta, che si contendono a morsi e digrignar di denti un osso da 30 miliardi di euro. Eppure doveva essere L’Aquila luogo di utopie urbanistiche e di un nuovo e autentico miracolo italiano. Dotti, consulenti e sapienti ben retribuiti hanno vagheggiato oltre questi cumuli di macerie la polis del terzo millennio, la città giardino, la città della scienza e del sapere, la città ad emissione zero, la città della bio-architettura e della green economy, la città policentrica, e la città campagna, la sempreverde città porta dei Parchi. In composta e dignitosa attesa i centri storici dell’Aquila e di altre decine di borghi del cratere sono rimasti intanto più o meno come li ha lasciati il sisma. E mentre le erbacce invadono i vicoli e le piazze, le fertili e belle campagne del cratere vengono sfigurate e soffocate da crescenti colate di cemento. Rischiano di moltiplicarsi strutture provvisorie-definitive, a firma anche di celebrate archi-star, che raddoppiano la città rischiando di annichilirne per sempre il senso urbanistico e il più banale buon senso, perchè ad esempio gli aquilani non sapranno che farsene di altri costosissimi mini-auditorium e centri polivalenti [o poli-inutili] di periferia e in cartongesso di ultima generazione, quando nei centri storici devastati ci sono tanti antichi e preziosi teatri, musei, palazzi, luoghi per fare cultura e socialità che stanno andando in definitiva malora.
Buona parte della popolazione sperimenta poi un modello di decrescita piuttosto infelice: le vendite di psicofarmaci sono triplicate, aumenta l’alcolismo e il disagio giovanile, le nuove agorà sono i centri commerciali, in migliaia sono i disoccupati e cassintegrati, tanti campano ormai con il piccolo assegno di autonoma sistemazione a cui ha diritto chi non ha avuto la C.a.s.a. dal governo, [«prenditi stì soldi e arrangiati»] e allora la condizione di terremotato assistito diventa uno status da difendere e perpetuare.
Tante, troppe sono le aziende sull’orlo della chiusura, sostenute da vigorose pacche sulle spalle e convinte promesse, segno che L’Aquila sta tornando ad essere una normale città italiana. «Ieri ti ho detto domani ti pagherò? E domani ti pagherò»: la battuta di Totò, nonché l’essenza dell’economia finanziaria, è anche la tattica temporeggiatrice degli altri strateghi della ricostruzione.
E così per ora, un passo immediato e a chilometro zero verso la ricostruzione la stanno facendo quei giovani che con il sudore della fronte e con la cocciutaggine dei montanari si sono rimessi coltivare e seminare la terra dei padri, quella stessa terra che qui ha portato morte e distruzione, ma a cui, nonostante tutto, bisogna continuare a essere infinitamente grati.
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