Fiat-Chrisler, il peso dei debiti sull’ascesa di Marchionne

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Nel Paese dove la libertà  si esercita anche dicendo male di Garibaldi, un manager che giostra sui due mondi, ma non ha una Caprera nel suo domani, sa bene che né lui né gli Agnelli possono vantare verso lo Stato italiano lo stesso credito politico che hanno verso la Casa Bianca: là  la Fiat ha aiutato, qui è stata aiutata. La verità  è che Marchionne segue la politica del carciofo. Mette sul piatto una foglia per volta. Così si discute della parte, non del tutto. E allora lamentarsi dell’ingratitudine serve a lasciarsi le mani più libere: se fa, è un benefattore; se non fa, è colpa degli ingrati. Ora la notizia è che la Fiat si mette in condizione di arrivare al 100%di Chrysler. Rimborsati i 7,5 miliardi di dollari ai governi di Usa e Canada, Torino ha ottenuto un’emissione di azioni Chrysler che, al prezzo di 1,26 miliardi di dollari, le ha dato un 16%da aggiungere al 30%che già  aveva avuto senza esborsi monetari. Per altri 500 milioni, la Fiat riceve il 6%del governo Usa, al quale versa ulteriori 75 milioni per avere il diritto a rilevare la partecipazione del fondo sindacale Veba in Chrysler per 4,25 miliardi. Con l’ultimo 5%che le spetta gratis, la Fiat marcia verso il pieno controllo della casa di Auburn Hills. Questi accordi, tutti price sensitive, sono stati resi noti a rate. La Consob avrebbe potuto esigere maggiore puntualità  e trasparenza nell’informazione. D’altra parte, pure le banche subiscono. Alla vigilia di Natale, le italiane hanno aperto nuove linee di credito per 3,5 miliardi di euro, oltre a rifinanziarne di vecchie per un miliardo, senza ottenere nessuna notizia seria, ancorché adesso sembri che quei fidi servano più a chiudere il primo tempo dell’operazione Chrysler che a finanziare Fabbrica Italia. Ma stiamo alla sostanza. E la sostanza è che la Fiat sta aumentando il debito finanziario consolidato. Al 31 marzo 2011, la Fiat Spa dichiarava 16,3 miliardi di euro di debiti e 13 di liquidità . A questi vanno sommati i debiti della casa americana, l’equivalente di 9,3 miliardi di euro, e la liquidità , 6,8 miliardi. Con gli ultimi acquisti di azioni Chrysler, il debito consolidato in euro sale da 25,6 a 27 miliardi; qualora fosse esercitata l’opzione sulle azioni del fondo Veba, il debito volerebbe a 30 miliardi di euro. E la posizione finanziaria netta, negativa, passerebbe da 5,4 a 9,6 miliardi. Troppo, se la si confronta con quella delle tedesche, che esercitano l’attività  industriale con i propri soldi e con margini ben superiori. I governi americano e canadese, per capirci, sono stati rimborsati facendo altri debiti con le banche americane, salvate dalla Casa Bianca. I nuovi tassi sono inferiori ai precedenti, decisi in situazione fallimentare, ma restano superiori all’8%. Né la Fiat, che riscuote comunque maggior fiducia, né Chrysler hanno l’investment grade, ovvero il voto di sufficienza da parte delle agenzie di rating. E questo spiegherebbe, secondo gli analisti, perché si tengano tanta, costosa liquidità  in casa: l’accesso ai mercati finanziari rimane una scommessa. Per il governo italiano, impegnato a trattare la questione sul mercato della propaganda, la Fiat non è un problema, ma per la Cassazione dei tassi d’interesse le sue obbligazioni restano junk bond, titoli spazzatura. Per quanto sia banale ripeterlo, la sufficienza si conquista fabbricando automobili gradite dal pubblico. Ma per farlo ci vuole una dedizione all’industria e uno stato patrimoniale che al momento paiono deboli. Basti pensare che Chrysler ha un patrimonio netto tangibile negativo per 9,2 miliardi di dollari. La fantasia di Marchionne potrà  arrivare perfino a esplorare la strada di un reverse take over della società  figlia Chrysler su mamma Fiat, consentendo all’Exor degli Agnelli di diluire il proprio impegno nell’auto e di sanare la situazione Chrysler come ha fatto il London Stock Exchange con Borsa Italiana. E poi, magari, pensare a integrare una casa giapponese minore o a farsi integrare dalla rinata Gm. In ogni caso, i conti prospettano l’esigenza di un aumento di capitale. E se questo avverrà  in capo a Chrysler, ne uscirà  ancor più rafforzata la capacità  di attrazione del polo americano del gruppo su quello italiano


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