Fabbrica Italia, tra Fincantieri e Marchionne

by Editore | 11 Giugno 2011 6:32

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Il secondo episodio è quello di Sergio Marchionne, che ha lamentato la differenza di reazioni alle iniziative Fiat: applausi negli Usa, fischi e contestazioni in Italia. Se ne deve dedurre che vi sarà  uno spostamento dei centri decisionali negli Usa in tempi brevi? La cosa, secondo il manager, non è in programma per quest’anno. Poi, si vedrà : nel frattempo, nessun impegno concreto per il progetto Fabbrica Italia, mentre dal contratto nazionale si passa a quello aziendale, nettamente meno favorevole ai lavoratori, che però si guardano bene dall’applaudire.
Le analogie tra i due stili di management non finiscono qui. Le tecniche di controllo di gestione introdotte circa mezzo secolo fa da Geneen nella Itt (una conglomerata multinazionale che operava in settori estremamente diversificati, come le telecomunicazioni o l’alimentare) e adottate pedissequamente dai bean counters nostrani portano automaticamente a selezionare gli impianti o le unità  produttive meno profittevoli e a chiuderli o a ridurre i relativi costi di produzione (ovviamente, a spese dei lavoratori). Così, sulla base di tecniche gestionali largamente obsolete, devono essere nate le decisioni di chiudere Castellammare e Sestri, e di comprimere i diritti acquisiti dai lavoratori di Pomigliano o della Bertone. Le caratteristiche di un vero imprenditore non sono queste. Un settore industriale, come l’auto o la cantieristica, può certamente andare in crisi; tuttavia il vero imprenditore deve essere in grado o di prevedere la crisi o di porre in essere misure atte a entrare in settori nuovi, sia pure rischiosi, o infine di fare tutte e due le cose insieme.
Nei due casi citati non è avvenuto nulla di tutto questo. La cantieristica avrebbe potuto, e forse dovuto, diversificarsi nei settori di maggiore interesse e sviluppo per l’economia italiana ed europea: le energie rinnovabili, che forse incontrerebbero su piattaforme galleggianti meno obiezioni ed ostacoli che sulla terraferma, le piattaforme petrolifere, gli impianti di trattamento dei rifiuti, ecc. L’industria automobilistica avrebbe certamente potuto destinare le proprie rilevanti capacità  di progettazione e di innovazione a sistemi di trasporto alternativi, anziché alla ricerca spasmodica di modalità  finanziarie di massimizzazione del profitto e di fuga dall’Italia.
Ma questa è la classe imprenditoriale che abbiamo; e questa mediocre classe imprenditoriale non è che una parte della mediocrissima classe dirigente di questo sfortunato Paese. Dunque la soluzione del problema non è nel migliorare l’esistente, ma in un cambiamento che ci porti a non avere più imprenditori che “scendono” in politica o politici nominati ai vertici di grandi imprese, e soprattutto in un cambiamento che misuri il successo o l’insuccesso dei programmi industriali dai risultati concreti e non dall’applausometro.

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