Europa a due velocità  su debito e Pil i tedeschi tentati dalla doppia moneta

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BERLINO – Quanto a lungo ce la farà  ancora Angela Merkel a convincere i suoi elettori a pagare oggi per la bancarotta greca, e domani per le crisi del debito sovrano di altri Stati dell’Europa meridionale? La domanda pesa su Berlino, dove la Cancelliera rischia la sua maggioranza parlamentare sul salvataggio di Atene. Contro la decisione della Merkel e del suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, di salvare l’euro e l’eurozona come sono oggi, l’ala dura espone le cifre diffuse ieri da Der Spiegel, e che pubblichiamo qui accanto: i dati fondamentali (evoluzione del debito, crescita economica, produzione industriale) disegnano già  oggi una eurozona a due velocità . Divisa tra chi ha meglio saputo ridurre l’indebitamento, accelerare la crescita del Pil e della produzione industriale, e chi no. E nelle tabelle, come si vede, la posizione dell’Italia non è davvero delle migliori. Mentre nella copertina Der Spiegel dà  l’euro già  per morto: un caro estinto dal decesso annunciato, non il bene comune ma la catastrofe comune dell’Europa.
«Aiutare i greci non serve a nessuno», scrive la Frankfurter Allgemeine online, e argomenta: irrita e spaventa sempre di più i contribuenti (ed elettori) dei paesi più forti, che temono, avverte Der Spiegel, di ridursi a pagare all’infinito i conti in rosso dei paesi indebitati. I prossimi pacchetti per Atene, calcola Der Spiegel, potrebbero costare alla Germania dai 40 ai 65 miliardi. Senza contare i rischi che corre la Bce (di cui Berlino sottoscrive il 27 per cento del capitale) che ha acquistato titoli greci e soccorso le banche elleniche. E intanto, nota ancora la Faz, i pacchetti di tagli e austerità  impoveriscono la Grecia, esasperano il malcontento dei suoi cittadini, alimentano la loro frustrazione e rabbia verso i paesi donatori.
La frontiera, il nuovo Muro tra le due parti dell’eurozona, è netta. Da un lato i paesi più efficienti, come Germania, Austria, Olanda, Finlandia, Francia in buona parte ma non sotto ogni aspetto. Ma anche Slovenia, Slovacchia o Estonia, piene di voglia di riuscire a tutti i costi. Dall’altro i paesi deboli: Portogallo, Grecia, Irlanda, ma per alcuni dati anche Spagna e Italia. La stessa Francia non sembra, nei dati, tenere appieno il passo col nucleo duro guidato dalla Germania. Nessuno ne parla più da tempo, ma in silenzio i dati sembrano riproporre l’ipotesi fatta tempo fa dai media britannici, di un euro del nord, o ‘neuro’. Diviso dall’area più debole, in pratica l’Europa mediterranea più la Francia. Parlarne apertamente è tabù: il mantra della Merkel e del suo alleato Sarkozy è la difesa dell’euro di oggi a tutti i costi. La grande industria tedesca, in un appello pubblico, appoggia la linea di salvataggio a oltranza della moneta comune. La cancelliera e il ministro delle Finanze avvertono che se si lascia fallire Atene si aprirà  una crisi incontrollabile, peggiore del 2009. Le banche tedesche però hanno rapidamente ridotto la loro esposizione in bond greci, da 34,8 miliardi dell’inizio 2010 a 17,3. Se Atene tornasse alla dracma, suggerisce Der Spiegel, ci guadagnerebbe con svalutazioni competitive, e la crisi non peserebbe sull’Europa intera.

 


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GERUSALEMME — La crisi della carta stampata, dei media tradizionali non risparmia Israele. E a farne le spese è ora il quotidiano di centro Maariv, che in ebraico significa «sera» — pur uscendo ormai da decenni al mattino —, un’icona apprezzata o criticata, ma comunque rispettata come parte della storia di questo Paese. Fondato nel 1948, come lo Stato ebraico, è stato travolto dai debiti e dal calo di lettori, complici la stampa gratuita e la concorrenza di Internet.

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