by Editore | 25 Giugno 2011 6:26
REGGIO EMILIA – «Noi restiamo qui, fino a quando non ci sarà un incontro risolutivo per questa storia». Guido Mora, della sedreteria della Camera del lavoro di Reggio Emilia, parla dalla sala giunta della Provincia, che da tre giorni è diventata un accampamento operaio. Con materassini, brandine, coperte, sacchi a pelo, il necessario per l’igiene personale e qualche genere di conforto. Insieme al segretario generale della Fiom reggiana ci sono altri sindacalisti della locale Camera del lavoro e di categorie Cgil, e una decina di «occupanti» indiani e pachistani. Sono i rappresentanti dei lavoratori della cooperativa di facchinaggio Gfe, ben decisi a restare a oltranza in palazzo Allende. Con il sostegno pratico dei loro 180 compagni di lavoro, che si sono sistemati in presidio permanente sotto un portico vicino. Assistiti anch’essi dalla protezione civile.
È questa la fotografia di giornata, nitida anche se scarsamente illuminata dai riflettori dei media, dell’ormai lunga (sette mesi) e straordinaria lotta degli indiani e dei pachistani di Reggio Emilia. Buttati fuori da un giorno all’altro dalla florida azienda per cui da anni lavoravano in appalto. Spazzati via come rifiuti solo per aver chiesto, e in un primo momento anche ottenuto, l’adozione del contratto collettivo nazionale del settore logistica-merci. Quello siglato di comune accordo dai sindacati Cgil Cisl e Uil e dalle centrali cooperative. Ma evidentemente giudicato inaccettabile dall’azienda madre, la Snatt Logistica di Campegine, disposta al massimo ad applicare il contratto Unci, che prevede una riduzione salariale di ben il 35% rispetto a quello siglato da confederali e centrali cooperative. Da queste parti, da sinistra ma non certo dall’egemone Pd emiliano, si parla della Gfe come di un «caso Marchionne alla reggiana». In effetti alcuni punti di contatto sembrano davvero esserci. Compresa la «guerra fra poveri» – sintesi efficace con cui ieri la locale Gazzetta ha titolato le ultime sul caso – innescata dal tentativo di Snatt di inserire i suoi lavoratori diretti e quelli rimasti in appalto (piegandosi al contratto Unci) nel processo che contrappone la Cgil all’azienda. Un tentativo frustrato dal giudice del lavoro Alessandro Gnani, che ha poi rinviato l’udienza al 21 settembre prossimo per iniziare l’esame delle tante testimonianze sul caso Gfe.
Nel mentre si occupa palazzo Allende. Con le istituzioni e la protezione civile che, nei fatti, danno più di una mano ai manifestanti. Perché in primis alla Provincia non è proprio andata giù la diserzione dei vertici di Snatt dal tavolo di trattativa di martedì scorso, per cercare una soluzione extragiudiziale al caso Gfe. «Questa non è una occupazione – spiegano la presidente dell’ente Sonia Masini e il suo vice Pierluigi Saccardi – perché la Provincia non è una controparte. Qui i lavoratori e i sindacati sono i benvenuti, palazzo Allende è la casa di tutti». La domanda viene però spontanea: fino a quando?
Prova a dare una risposta Guido Mora: «Stiamo aspettando che le istituzioni, in primo luogo la Regione, convincano i rappresentanti della Snatt a venire a trattare. Ma al momento non ci sono certezze. Di sicuro i lavoratori non sono disposti ad accettare altri rinvii. Martedì scorso al tavolo c’erano rappresentanti di tutte le istituzioni locali, delle centrali cooperative e dei tre sindacati confederali, oltre che naturalmente dei lavoratori Gfe. Era la terza volta in tre mesi che si cercava di risolvere la controversia senza dover ricorrere alla magistratura del lavoro, con un fisiologico allungamento dei tempi». Ma dalla Snatt Logistica, che una decina di anni fa decise di esternalizzare il settore «creando» la Gfe, e facendo poi lavorare i facchini extracomunitari all’interno della fabbrica come soci-lavoratori, con una paga di cinque euro l’ora, i tempi lunghi non fanno né caldo né freddo. «La sola proposta concreta arrivata in questi mesi dall’azienda – ricorda Mirto Bassoli che guida la Camera del lavoro reggiana – è stata quella di riassumere alcune decine di lavoratori. Con un contratto a termine».
Dalla Cgil emiliana, Antonio Mattioli ricorda: «Questi sono lavoratori che vivono da sette mesi con 600 euro al mese di cassa integrazione in deroga. In queste condizioni diventa a rischio il loro permesso di soggiorno, e l’azienda si fa forte di questa condizione per tentare di vanificare in ogni modo la loro mobilitazione. La storia di Reggio Emilia non merita queste offese ai più elementari diritti civili». Guido Mora allarga l’orizzonte e lancia un ulteriore allarme: «Stanno aumentando giorno dopo giorno le cooperative che applicano il contratto Unci. Questo perché i soci-lavoratori sono perlopiù migranti spinti dal bisogno, che accettano le condizioni di lavoro e di salario senza sottilizzare. Il fenomeno si è già allargato a macchia d’olio, sia in Lombardia che in Piemonte. Ora tocca all’Emilia. Nel caso dalla Gfe erano stati i lavoratori, dopo anni, a ribellarsi e chiedere il contratto confederale. L’anno scorso l’avevano ottenuto, sottoscritto anche dalla Snatt. Poi però sono state create apposta due nuove coop per applicare il contratto Unci, e quasi duecento lavoratori della Gfe sono stati “convinti” ad uscire per poi rientrare nelle nuove Emilux e Locos Job. Ma questo si chiama dumping contrattuale. E Snatt è gia stata condannata per condotta antisindacale».
Come finirà ? Di certo i 185 migranti della Gfe non intendono arrendersi. Solo l’intervento sindacale ha impedito, in aprile, che andasse avanti a oltranza uno sciopero della fame e della sete organizzato fuori dai cancelli della Snatt Logistica. Ora c’è la causa di lavoro, promossa in sostanza per denunciare un «appalto non genuino», e con l’obiettivo di far rientrare i lavoratori in fabbrica assicurando a tutti loro il contratto confederale. E c’è l’occupazione di palazzo Allende, anche se non si chiama così. Che andrà avanti.
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