Dimenticare Pontida

by Editore | 22 Giugno 2011 6:13

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Alla Lega ha concesso pochino. Non una parola sulla penosa vicenda dei ministeri al Nord, che rischiava di diventare un cuneo nella maggioranza; un accenno al passo indietro — «non voglio mica restare a Palazzo Chigi a vita» — evocato da Bossi a Pontida. Berlusconi è in difficoltà  e lega il destino di Tremonti al proprio. Non a caso il ministro, apparso fugacemente nel dibattito al Senato, appariva innervosito. Ma i più imbarazzati erano i leghisti. La richiesta velleitaria dei dicasteri a Monza e del ritiro del sostegno alla Nato in Libia e all’Onu in Libano non ha retto più di due giorni; e non sarà  certo Pontida a cambiare la dura realtà  del debito pubblico, più che mai nel mirino dei mercati internazionali ora che le agenzie di rating puntano anche le grandi aziende dell’energia controllate dallo Stato. Berlusconi ne se è fatto scudo, indicando la speculazione, l’allarme per i tassi dei Bot, la responsabilità  nazionale come buone ragioni per evitare una crisi di governo; e in questo passaggio è apparso più convincente di quando ha intonato la litania della riforma istituzionale e del piano per il Sud, la cui citazione suscita ormai rabbia e ilarità . Il Parlamento è stato generoso di quei voti che il Paese invece ha negato al centrodestra. Il lavorio di Verdini ha dato i suoi frutti: la maggioranza è oggi all’apparenza più solida di quella del 14 dicembre, contro cui si infranse il tentativo di Fini e delle opposizioni che ieri non hanno toccato palla. Ma il Berlusconi reduce dai referendum e dalle sconfitte di Milano e Napoli non appare più capace di quel cambio di passo che darebbe un senso agli ultimi due anni di legislatura. Altri governi all’orizzonte non se ne vedono. Nessun leader è divorato dall’ansia di andare al voto; figurarsi i peones. Bersani appare innervosito dalla crescente rivalità  con Vendola e ha il problema di definire una politica economica credibile. Casini incassa l’apertura di Berlusconi a un’alleanza per le prossime elezioni incentrata sul partito popolare europeo, ma non può certo aprire una trattativa con il Cavaliere ancora a Palazzo Chigi. Il premier non cadrà  per un rituale di Palazzo o per una votazione annunciata; è dagli ostacoli improvvisi che deve guardarsi. Oggi alla Camera tenterà  un ulteriore esercizio di equilibrio. Ma potrebbe non bastargli, quando il refolo arriverà  pure nell’asfittica politica romana, e anche i parlamentari — di cui tutti chiedono il dimezzamento senza che nessuno vi metta mano — se ne renderanno conto.

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