Di carcere si continua a morire
L’Osservatorio Permanente sulle morti in carcere nel 2010 ha censito 66 casi di suicidio tra i detenuti e 7 tra i poliziotti penitenziari. I detenuti morti per motivi diversi (malattia, overdose, cause “non accertate”) sono stati 117. I tentati suicidi tra i detenuti sono stati 1.134. Dall’inizio di quest’anno si sono tolti la vita 27 detenuti e 3 poliziotti, mentre altri 54 detenuti sono morti per “cause naturali”.
Lo stato di emergenza carceri è stato sancito per decreto del presidente del Consiglio il 29 marzo 2010. Ma da un anno circa non se ne sa più niente.
Dal punto di vista normativo si è utilizzata la Legge 225/92, che consente di dichiarare lo stato di emergenza nazionale in presenza di situazioni che non siano riferite esclusivamente a episodi di calamità naturale, ma anche a condizioni di allarme nazionale. Il limite temporale dell’emergenza è stato fissato al 31 dicembre 2010, contestualmente confermando la nomina a commissario straordinario di Franco Ionta, il responsabile del DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria). Ionta aveva già consegnato al guardasigilli Alfano un piano per ampliare le carceri esistenti a inizio 2009, perfezionandolo nel mese di maggio dello stesso anno con la surreale proposta delle prigioni galleggianti e la cooptazione di soggetti privati.
Nel 2010 ha disposto la realizzazione di nove carceri di dimensioni ridotte nelle città maggiori (destinate ad arresti in flagranza e detenzioni brevi) per circa 220 milioni e 450 detenuti, altre otto case di reclusione in centri medi come Pordenone e Latina per 400 milioni e circa 7 mila detenuti, 600 milioni e 4 mila posti in strutture di sicurezza dislocate in grandi città e infine ampliamenti nelle carceri esistenti per altri 9-10 mila detenuti (leggi: riduzione degli spazi già esigui di socialità ). Sono stati formalizzati accordi di intesa con le regioni Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche, Sicilia. Quindi circa 20 mila nuovi posti al costo approssimato di 1, 5 miliardi di euro, Tremonti permettendo. Il piano comprende ancora l’arruolamento di 2 mila nuovi agenti di polizia penitenziaria, ma a fronte di circa 1.400 soggetti che ogni anno vanno in quiescenza.
I poteri di Ionta sono stati calibrati su quelli di Bertolaso in coerenza con le linee guida di Berlusconi, che per le carceri aveva suggerito un “modello Abruzzo”. Ionta ha avuto la facoltà di nominare due “soggetti attuatori” e sottoscrivere venti contratti a termine per le attività di realizzazione del piano. Lo stesso comporta l’approvazione di un Comitato di indirizzo e controllo formato dai ministri di Giustizia, Infrastrutture e lo stesso Bertolaso. Il quale, nel frattempo, è stato però pensionato per raggiunti limiti di decenza. Ottenuta l’indubitabile approvazione si suppone che Ionta avrà avuto carta bianca: affido della progettazione, approvazione dei progetti, conferenze di servizi, pareri delle soprintendenze subordinati al sì del ministro competente entro sette giorni dalla richiesta. In sostanza mano libera nelle trattative con la pubblica amministrazione e i privati su una base di appoggio di 700 milioni, ma in un orizzonte di gestione di diversi miliardi di euro. Il tutto coperto dalla segretezza che l’emergenza e il tema prescrivono. E infatti non è dato conoscere lo stato di avanzamento del piano.
Ionta viene nominato Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria il 23 gennaio 2009: a questa data i detenuti presenti erano 58.000, vale a dire 17.000 in più della capienza regolamentare. Alla data del 30 marzo 2010 i detenuti erano 67.300, vale a dire 26.300 in più della capienza regolamentare, con un trend di crescita di circa 8.000 unità all’anno. Se oggi sono circa 68.000 è solo in ragione delle diverse migliaia di soggetti sottratti al carcere in ragione degli effetti del cosiddetto “decreto svuota carceri” reso esecutivo alla fine dello scorso anno e della decadenza del reato di clandestinità . Considerato che il piano dovrebbe avere concretezza di utilizzo entro la fine del 2012 con la realizzazione di 20 mila nuovi posti l’aritmetica ci dice che sfioreremo la cifra di 80.000 detenuti per una capienza regolamentare di 61.000, con un conseguente esubero di circa 19.000 unità . Sempre, naturalmente, nell’improbabile determinazione di un completo realizzo dei progetti nei tempi previsti e con la modica spesa di 1,5 miliardi di euro.
Ma la realtà è che oggi in carcere si continua a morire, sempre di più. E come sempre la temperatura estiva riaccende le proteste che si stanno espandendo a macchia d’olio in tutto il circuito penitenziario attraverso scioperi della fame, della spesa, battiture. La giornata del 26 giugno prossimo, da molte associazioni indicata come giornata contro la tortura, può essere un’occasione per rilanciare un ragionamento in opposizione alla inefficacia di scelte che vedono nella costruzione di nuovi istituti l’unico strumento deflattivo a fronte di un quadro drammaticamente insostenibile. Le somme messe a bilancio potrebbero essere viceversa destinate a politiche di inclusione e depenalizzazione, cominciando dalle sanzioni penali legate ai flussi migratori e alla circolazione delle sostanze stupefacenti che riguardano il 70 per cento della popolazione detenuta; ad alternative al reingresso in carcere, soprattutto in conseguenza delle norme che governano la recidiva; all’incentivazione del ricorso alle misure alternative; all’ampliamento della cosiddetta area penale esterna. Alla diffusione e al sostegno della figura territoriale del Garante dei detenuti; a condizioni di maggiore vivibilità degli spazi reclusi; alle tutele delle dignità e della salute. Ridurre i reati, ridurre la recidiva, ridurre la necessità del carcere, ridare alla privazione della libertà i connotati della soluzione estrema, ridimensionare la forza simbolica di espressione di comando che la sanzione penale contiene in sé: ancora una volta è questo il centro delle riflessioni
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