by Sergio Segio | 13 Giugno 2011 15:37
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Sassi lanciati contro persone pacifiche, contro cittadini europei! Questo è stato lo scenario nella città di Spalato durante la manifestazione violenta di diecimila omofobi che hanno aggredito i quattrocento partecipanti al Gay pride dell’11 giugno nella seconda città della Croazia. Non è dunque il caso di rallegrarsi troppo per la fine dei negoziati per l’adesione all’Ue.
Dopo gli avvenimenti di Spalato ci sono ancora più motivi per credere che l’europeizzazione non sia una necessità immanente della nostra società ma un processo imposto dai rapporti di forza in Europa. Anche dal punto di vista strettamente formale, niente è ancora deciso, e i due anni che ci separano dal pieno ingresso nell’Ue sembreranno un’eternità .
Non è il caso di dimenticare a cuor leggero le precedenti occasioni in cui il paese si è incagliato nel lungo cammino verso l’Europa: nel dicembre del 1995, a causa dei crimini commessi durante l’operazione “Tempesta” [contro i serbi della Krajina], siamo stati il primo paese a cui è stato negato l’accesso al Consiglio d’Europa. A quel tempo [l’attuale premier] Jadranka Kosor era vicepresidente del parlamento, mentre Ivo Sanader [suo predecessore e attualmente in carcere in Austria per corruzione] ricopriva la carica di ministro degli esteri.
Dieci anni dopo, l’inizio dei negoziati per l’adesione è stato rinviato a causa del mancato arresto del generale Ante Gotovina [che aveva guidato le truppe croate nell’operazione “Tempesta”], mentre Sanader era primo ministro e Kosor la sua collaboratrice più stretta. Con la coppia Sanader-Kosor al potere siamo diventati il paese i cui negoziati di adesione si sono protratti più a lungo: sei interminabili anni. Nel 2000 ci hanno promesso che saremmo entrati nell’Ue entro il 2006. Sanader aveva già issato il drappello blu a stelle gialle, come un maratoneta che inizi a festeggiare la vittoria al trentesimo chilometro.
L’ultimo tratto della maratona rischia di rivelarsi il più difficile, perché nei chilometri finali dovremo sconfiggere le nostre stesse debolezze. Inoltre bisogna organizzare un referendum sull’adesione. La sordità con cui il governo rifiuta di affrontare le paure di un potenziale fiasco del plebiscito è sorprendente: se l’esecutivo ha paura di indire un referendum non si capisce come possa invertire la tendenza; se invece è sicuro della vittoria del “sì”, bisogna credere che non ci sia più niente da fare.
Paradossalmente la Croazia è stata più europea alla fine degli anni ottanta e all’inizio degli anni novanta, ovvero nel periodo transitorio tra la caduta del socialismo e l’instaurazione della “democratura” [del nazionalista Franjo Tudjman]. All’epoca l’europeizzazione veniva dal basso, mentre oggi è imposta dall’alto. Nel frattempo la società ha sposato il sentimento anti-europeo ereditato da Tudjman e sul quale l’Hdz [il partito al potere] ha fondato lo stato.
Pensiamo all’umiliazione che la folla omofoba ci ha inflitto a Spalato! Chi può credere ancora che la nostra società non sia chiusa e xenofoba? Non è dunque il caso di rallegrarsi troppo: bisognerà fare pressione sul governo affinché non gli venga il fiatone durante gli ultimi metri della corsa. E poi, è veramente il caso di gioire per essere entrati nell’Ue sei anni dopo Romania e Bulgaria? (traduzione di Andrea De Ritis)
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