Contrordine scienziati l’evoluzione è altruista

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La teoria evoluzionistica ci insegna che a sopravvivere sono gli individui che meglio si adattano all’ambiente. Il più forte prevale sul più debole. Le creature che si adattano trasmettono i propri, egoistici, geni. Quelle incapaci di adattarsi vanno incontro all’estinzione. Stando a questa tesi noi esseri umani siamo marcati da un profondo egoismo, alla stregua di tutti gli altri animali. Puntiamo al massimo risultato entrando in competizione per la posizione sociale, il reddito, le opportunità  di trovare un partner. I comportamenti apparentemente altruistici sono in realtà  dettati da un interesse personale dissimulato. Carità  e fratellanza non sono altro che una mistificazione culturale apposta sulla logica ferrea della natura.

Tutto ciò è in parte vero, ovviamente. Ma ogni giorno mi arriva sulla scrivania un libro che pone la questione sotto una luce diversa. Libri sulla solidarietà , l’empatia, la cooperazione e la collaborazione, scritti da scienziati, psicologi evoluzionisti, neuroscienziati. A quanto sembra gli studiosi di questa materia hanno cambiato orientamento, dando vita a un’immagine più sfumata e spesso più tenera della natura.
Partiamo dal saggio più modesto. Si tratta di SuperCooperators scritto da Martin Nowak assieme a Roger Highfield. Nowak ricorre alla matematica superiore per dimostrare che «cooperazione e competizione sono perennemente e strettamente interconnesse». Intenti a perseguire il nostro interesse personale spesso siamo portati a restituire una gentilezza ricevuta, così da poter contare sugli altri in caso di bisogno. Siamo stimolati a crearci la reputazione di persone gentili con l’intento di invogliare gli altri a collaborare con noi. Siamo incentivati al lavoro di squadra, anche se nel breve periodo può risultare controproducente rispetto ai nostri interessi personali, perché i gruppi coesi sono destinati al successo. Nowak attribuisce alla cooperazione un ruolo centrale nell’evoluzione equiparandola alla mutazione e alla selezione.
Ma gran parte dei nuovi saggi superano la teoria dell’incentivazione in senso stretto. Michael Tomasello, autore di “Why We Cooperate”, ha creato una serie di test adatti, con poche variazioni, sia agli scimpanzé che ai bambini. Dalla sperimentazione è emerso che già  in tenerissima età  i bambini hanno un comportamento collaborativo e condividono le informazioni, a differenza di quanto accade negli scimpanzé adulti. Un bimbo di un anno informa gli altri della presenza di qualcosa indicandolo. Gli scimpanzé e le altre scimmie non condividono le informazioni con spirito collaborativo. I bambini sono pronti a condividere il cibo con estranei. Gli scimpanzé generalmente non offrono cibo, neanche alla prole. Se un bimbo di 14 mesi si accorge che un adulto è in difficoltà , non riesce ad esempio ad aprire la porta perché ha le mani impegnate, cercherà  di aiutarlo. La tesi di Tomasello è che l’uomo mentalmente si è differenziato dagli altri primati. La disponibilità  alla cooperazione è una qualità  umana innata che viene intenzionalmente esaltata nelle varie culture.
In Born to Be Good, Dacher Keltner illustra gli studi su cui è impegnato, assieme ad altri, sui meccanismi dell’empatia e della connessione, descrivendo le dinamiche del sorriso, dell’arrossire, del riso e del contatto fisico. Quando si ride assieme agli amici si parte con vocalizzazioni separate che poi però si fondono in suoni interconnessi. Pare che il riso si sia sviluppato milioni di anni fa, ben prima delle vocali e delle consonanti, come meccanismo per costruire cooperazione. Fa parte del ricco strumentario innato della collaborazione tra esseri umani.
In un saggio Keltner cita l’opera di James Rilling e Gregory Berns, dell’università  di Emory. I due neuroscienziati hanno scoperto che l’atto di aiutare il prossimo attiva le aree del nucleo caudato e della corteccia cingolata anteriore coinvolte nei meccanismi del piacere e della gratificazione. Significa che rendersi utili agli altri è fonte di piacere, come soddisfare un desiderio personale.
Nel suo libro The Righteous Mind, in uscita all’inizio del prossimo anno, Jonathan Haidt si associa a Edward O. Wilson, David Sloan Wilson ed altri nel sostenere che la selezione naturale avviene non solo attraverso la competizione a livello individuale, ma anche tra gruppi. In entrambi i casi la carta vincente è la capacità  di adattamento, ma nella competizione tra gruppi la capacità  di coesione, di cooperazione, l’altruismo dei membri, sono fattori determinanti per imporsi e trasmettere i propri geni. Parlare di “selezione di gruppo” era eresia fino a qualche anno fa, oggi questa teoria sta prendendo piede.
Gli esseri umani, sostiene Haidt, sono le “giraffe dell’altruismo”. Come le giraffe hanno sviluppato il collo per sopravvivere, così gli uomini hanno sviluppato il senso morale per vincere nella competizione, a livello individuale e di gruppo. Gli uomini danno vita a comunità  morali condividendo regole, abitudini, emozioni e divinità  per poi combattere e addirittura talvolta morire per difenderle. Le nuove tesi evoluzionistiche che esaltano il fattore cooperazione fanno sì che si rivedano vecchi criteri di analisi come quello che imponeva nelle scienze sociali e in particolare in economia il modello del massimo vantaggio sulla base del principio della competizione egoista.
Ma l’aspetto più rivoluzionario riguarda il rapporto tra comportamento e morale, per decenni negato in base a criteri cosiddetti “scientifici”. Se è vero però che la cooperazione è parte integrante della nostra natura umana, altrettanto vale per la moralità , non possiamo capire chi siamo e come siamo arrivati fin qui senza considerare l’etica, le emozioni e la religione.
(© New York Times-la Repubblica Traduzione di Emilia Benghi)


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