Contratti, firmato l’accordo tra Confindustria e sindacati
ROMA – Accordo fatto sulla contrattazione e la rappresentanza sindacale. Dopo sei ore di trattativa ininterrotta, la Confindustria e le confederazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil hanno raggiunto ieri sera l’intesa sulle regole per la validità e l’efficacia dei contratti. Quasi una svolta nelle relazioni industriali dopo la rottura del 2009 con la Cgil che non sottoscrisse il nuovo modello di contrattazione. «Si chiude una stagione di divisioni», hanno infatti detto, quasi usando le stesse parole, la presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, e la leader della Cgil, Susanna Camusso, subito dopo la firma.
Un’intesa benedetta, quella di ieri, dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti: «Grazie a Raffaele Bonanni, Luigi Angeletti, Susanna Camusso ed Emma Marcegaglia. Grazie per quello che hanno fatto nell’interesse del nostro Paese». Una presa di posizione dal doppio valore: da una parte una implicita polemica con la maggioranza che stenta a comprendere fino in fondo la gravità del contesto economico; dall’altra la chiara indicazione del “blocco sociale” (quello dei ceti produttivi) al quale il ministro intende fare riferimento.
D’ora in poi un contratto sarà valido per tutti se sarà firmato dal 50 per cento più uno delle Rsu (le rappresentanze sindacali unitarie) che saranno costituite seguendo due criteri: il voto di tutti i lavoratori e la certificazione degli iscritti alle singole organizzazioni da parte dell’Inps. In sostanza il modello che già si applica nel pubblico impiego. Dove non saranno elette le Rsu e ci saranno solo i rappresentanti scelti dai sindacati (le Rsa) si dovrà fare il referendum e perché passi l’accordo servirà il 50 per cento più uno dei consensi. Il sistema contrattuale resta con due livelli: il nazionale e l’aziendale. Quest’ultimo non potrà esplicitamente derogare al contratto nazionale bensì “adattare” alla singola impresa le regole generali.
Ma la nuova architettura per le relazioni industriali potrebbe non essere sufficiente a trattenere la Fiat-Chrysler all’interno della Confindustria, anche se la Marcegaglia ha detto che risponde alle «istanze» del gruppo automobilistico. Ieri l’amministratore delegato della multinazionale, Sergio Marchionne, ha seguito dal suo ufficio del Lingotto la trattativa romana. Valuterà insieme ai suoi giuslavoristi cosa fare nei prossimi giorni. Ma da quel che scaturiva ieri da Torino il passo successivo sembra ormai quello dell’uscita da Confindustria. Marchionne, d’altra parte, lo ha detto più volte alla Marcegaglia e l’ha spiegato a Bonanni e Angeletti in un incontro a Roma una quindicina di giorni fa. «È stato fatto anche un buon lavoro, ma non sufficiente per risolvere i nostri problemi», è nella sostanza la tesi della Fiat. I cui problemi si chiamano Fiom e i ricorsi giudiziari che i metalmeccanici della Cgil hanno promosso contro i contratti per gli stabilimenti di Pomigliano d’Arco e Mirafiori, costituiti in newco e già fuori dal perimetro confindustriale. Marchionne voleva un “avviso comune” delle parti sociali al governo che poi lo traducesse in una norma di legge. L’unica a poter bloccare i ricorsi della Fiom, destinati in buona parte ad essere accolti favorevolmente dai tribunali. Ma la strada dell'”avviso comune” avrebbe impedito l’intesa anche con la Cgil. «Noi – disse la Camusso – facciamo gli accordi, se ci sono le condizioni, non gli avvisi comuni». Marcegaglia spinta anche da un pezzo della sua base ha scelto di non rompere un’altra volta con la Cgil, dove la Fiom si è comunque schierata contro l’intesa. Per la soluzione indicata da Marchionne si era speso anche il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che ieri ha cercato di ricomprendere nell’accordo anche il caso Fiat: «Pomigliano e Mirafiori hanno aperto la strada alle nuove relazioni industriali».
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