Comiso, il pasticcio dell’aeroporto fantasma
COMISO – Il primo aereo ad atterrare nell’aeroporto nuovo di zecca è stato un Airbus 319 della Presidenza del Consiglio, con a bordo l’allora vice premier Massimo D’Alema. Era l’aprile del 2007 e il numero due del governo Prodi arrivava a Comiso per intitolare l’aerostazione a Pio La Torre. Ad accoglierlo il sindaco diessino, Giuseppe Digiacomo. Da allora però nessun altro aereo è mai più atterrato nello scalo costato 36 milioni di euro di fondi Cipe ed europei. Soldi sprecati, visto che a quattro anni di distanza qui crescono solo erbacce. Una cattedrale nel deserto, con tanto di torre di controllo, apparecchiature radar e perfino 60 vigili del fuoco distaccati in più nella sede di Ragusa per servire lo scalo che non c’è.
Ma perché qui non si è visto più un aereo? Sulla carta, perché questo è l’unico aeroporto di proprietà di un Comune, Comiso, e lo Stato non vuole pagare i controllori di volo: che costano, secondo l’Enav, poco più di 2 milioni di euro all’anno. Scontro tutto politico, perché basterebbe una firma del ministro Giulio Tremonti per garantire almeno 10 milioni di euro per lo start-up. La verità è che qui si è costruito uno scalo senza sapere nemmeno chi avrebbe finanziato i servizi.
Tutto inizia alla fine degli anni Novanta, quando il sindaco Digiacomo riceve la telefonata dell’allora vicepremier D’Alema che gli chiede aiuto per ospitare 6 mila profughi kossovari nell’ex base Nato di Comiso. Il sindaco accetta, ma in cambio chiede una corsia preferenziale per poter realizzare lì un aeroporto civile. Nel ‘99 a Roma c’è D’Alema e a Palermo un altro diessino, l’allora governatore Angelo Capodicasa. Si parte. Nel 2001 si firma un accordo tra Stato, Regione e Comune: a Comiso arrivano 47 milioni di euro tra fondi europei e Cipe (ne verranno spesi 36) e si bandiscono le gare per la realizzazione della struttura. Poco importa che ancora non si sappia nemmeno di chi sia il terreno, visto che in teoria sarebbe del ministero della Difesa. Il Comune va avanti facendo finta che sia già suo (in realtà solo qualche mese fa lo Stato ha trasferito l’area) e pensa a chi dovrebbe gestire lo scalo: sulla carta, dovrebbero cederlo tutto a privati oppure affidarlo all’Enac. Ma a Comiso si pensa in grande e si decide di mantenerne la gestione, dando con gara ai privati il 51 per cento della società di scopo, la So.a.co.
Ad aiutare il sindaco come consulente in questi anni è un suo compagno di liceo, Gianni Scapellato, direttore dello scalo Sea di Malpensa. I due calcolano un potenziale traffico di 500 mila passeggeri all’anno: e su questa base indicono la gara che parte da un valore di 8 milioni di euro. Alla selezione partecipa la stessa Sea, che offre 12 milioni. A vincerla con un offerta di 18 milioni di euro è però la Intersac, composta dalla Sac che gestisce lo scalo di Catania e dal gruppo Ciancio-Sanfilippo. La Intersac versa nel 2007 nelle casse del Comune il canone per l’occupazione del suolo per i prossimi 40 anni: 3,2 milioni di euro, più altri 4,8 milioni per un aumento di capitale nella società di gestione oggi partecipata così al 65 per cento. Questi sono gli unici soldi spesi concretamente dalla Intersac, il resto è congelato nel capitale sociale.
Lo scalo viene dunque ultimato e arriva D’Alema a scoprire la targa che intitola l’aeroporto a La Torre. Da allora nulla: l’unica cosa cambiata è il nome, perché il nuovo sindaco del Pdl, Giuseppe Alfano, ha voluto intitolare la struttura al generale Magliocco, ucciso nel ’36 nella folle guerra di Mussolini in Etiopia: «Ho ripristinato il vecchio nome, a Comiso la mafia non è mai stata pervasiva come a Palermo e non aveva senso intitolare la struttura a La Torre», dice. Guerre sul nome dell’aeroporto fantasma, piazzato nel cuore delle campagne del ragusano al posto della base militare dove gli americani negli anni Ottanta avevano installato una ventina di missili a testata nucleare. Peccato però che nel frattempo i vigili del fuoco abbiano mandato altre 60 persone a lavorare nella caserma di Ragusa come assistenza allo scalo. E se la Windjet si lamenta perché i posti per gli aeromobili sono pochi, un colosso come la Ryanair si è detta pronta ad attivare linee da Comiso per tutta l’Europa.
Ad oggi l’aeroporto però non solo non è stato collaudato dal Comune ma non è nemmeno certificato dall’Enac. «Se non si presentano con il collaudo e con il contratto con l’Enav per i controllori di volo non possiamo dare alcuna certificazione», dice il presidente dell’Enac, Vito Riggio. Ma chi dovrebbe pagare all’Enav i controllori di volo? Lo Stato non ha obblighi, perché un parere dell’avvocatura dice che Comiso è comparabile a «un aeroporto privato». Quindi dovrebbero pagarli i privati: ma la Intersac, che non ha messo un solo euro per la realizzazione della struttura, non ha intenzione di spendere soldi per uno scalo che potrebbe fargli pure concorrenza a Catania: «Nella migliore delle ipotesi la Intersac punta a gestire un gioiellino, senza metterci un euro», dicono a Comiso. Il sindaco attuale, Alfano, adesso bussa alle porte di tutti i suoi referenti politici del Pdl: dal ministro Angelino Alfano a Ignazio La Russa: «Tramite amicizie comuni sono riuscito a contattare pure Gianni Letta», dice. Ma Tremonti non ha dato nulla. E lo scalo rimane fantasma.
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