Comincia già  con la scuola materna, dilaga su Internet, angoscia migliaia di famiglie

by Editore | 7 Giugno 2011 6:46

Loading

«È un errore – dice Luca Bernardo, pediatra, fondatore del primo ambulatorio anti-bulli al Fatebenefratelli di Milano (ora anche sui social network col nome di Zang) e presidente della commissione ministeriale sul fenomeno istituita al Miur – anche perché in questo modo si coltiva l’intolleranza. In ospedale da noi sono arrivati bimbi di quattro o cinque anni feriti in modo serio da compagni di scuola, e quasi sempre si trattava di piccoli percepiti come “diversi”, anche solo per il colore della pelle. I bambini di quell’età  non sono consapevoli della propria violenza, ma assorbono tutto quello che sentono dagli adulti. Attenzione, quindi, alle parole che si usano in casa, dalla nazionalità  al sesso, dall’aspetto fisico alla disabilità ».
Bernardo sta lavorando con altri colleghi a un nuovo codice che unifichi la percezione del fenomeno, da Nord a Sud, dalle scuole “bene” a quelle di frontiera. «Come mai – si chiede Bernardo – quando telefoniamo a certe scuole di Milano nell’ambito dei nostri monitoraggi ci sentiamo dire “da noi non capita niente del genere”? È urgente definire che cosa intendiamo parlando di bullismo, evitare ogni equivoco tra eccessi di rimozione e altri di ipersensibilità . Per questo vogliamo creare un referente anti-bullismo per ogni scuola». Dall’altra parte delle Alpi, un maestro della psicologia infantile come Aldo Naouri (ora nelle librerie italiane col suo “Piccoli tiranni (non) crescono” per Codice Edizioni) è deciso: «Se consentiamo al nostro bambino di quattro o cinque anni di essere violento non solo non lo educhiamo, ma lasciamo che in lui cresca un’angoscia che più tardi lo porterà  a essere un bambino e un ragazzo difficile. La violenza deve essere punita, con le parole e con gli atteggiamenti in casa e a scuola. L’aumento del bullismo non è solo collegato alla maggiore sensibilità  e alle denunce. In Francia, tra le prime frasi che un bambino impara alla scuola materna e ripete di continuo c’è “j’attaque”, che vuol dire “sto per picchiarti, sto per saltarti addosso…”. Ma i piccoli bulli dell’asilo, nonostante tutto, crescono, e qualche volta passano dalla fase del gioco a quella della molestia telematica, lo stalking da Facebook che può “macchiare” irreparabilmente l’immagine dei compagni, delle compagne soprattutto. «Fino a dieci, undici anni, i ragazzini giocano, agiscono perlopiù in gruppo – racconta Cristina Bonucchi, psicologa della Polizia di Stato che analizza i crimini informatici – ma da quell’età  in poi dal gioco si può passare alla persecuzione personale. È vero, occorre più informazione e sensibilità  nelle scuole, ma serve anche una percezione corretta degli strumenti più efficaci: i grandi operatori come Facebook o You Tube hanno interesse a combattere i possibili reati commessi attraverso di loro, dunque rispondono in tempi rapidi alle segnalazioni degli utenti su contenuti scorretti, rimuovendoli. La denuncia alle forze dell’ordine, naturalmente, va fatta, ma occorre considerare che deve essere affidata a un adulto e che anche il titolare della connessione internet è quasi sempre un adulto. Meglio prevenire, andando nelle scuole e combattendo sul nascere certi fenomeni come la creazione di gruppi Facebook generici, “tutti contro lo scemo”, che sono perfettamente riconoscibili da chi è vittima del fenomeno ma non configurano alcun reato fino a quando non vengono messi in rete nomi, cognomi, immagini».
«Al nostro sito – spiega Bernardo – possono accedere tutti i ragazzi che hanno problemi di bullismo, e consultarsi tra loro: sta funzionando molto bene e i partecipanti sono già  centinaia. Allo stesso tempo però bisogna chiarire che il cyber bullismo è un reato da non prendere alla leggera, proprio come quel primo spintone dato troppo forte all’asilo, che deve essere sanzionato anche davanti ai genitori quando vengono a prendere il proprio figlio: in caso contrario, nella testa del bambino passerà  l’idea che certe cose possono restare nascoste».
L’Italia, tuttavia, non ha ancora immaginato alcuna forma di legge sul fenomeno, a differenza della Svezia: «Nel 1998 abbiamo creato la Polizia postale che funziona molto bene – dice Anna Serafini, senatrice del Pd e vicepresidente della commissione bicamerale su infanzia e adolescenza – Dopo, però, il gruppo di esperti che avrebbe dovuto dedicarsi al problema non si è più riunito. Senza un programma specifico con indicazioni chiare per i dirigenti scolastici e le famiglie resterà  sempre una diversità  tra scuole dove il bullismo viene denunciato e altre dove resta sommerso. Fino al punto che ci sono famiglie che intentano azioni legali contro le scuole perché qualcuno si è girato dall’altra parte mentre il figlio subiva atti che lo hanno danneggiato, a cominciare dai risultati scolastici».
Ora che il bullismo ha ricevuto un nome, è stato riconosciuto e classificato, occorrono idee più precise e efficaci per affrontarlo. In caso contrario, e in un paese dove l’atteggiamento “protettivo” dei genitori sui figli è ancora troppo forte, il rischio è quello di nascondere la polvere sotto il tappeto. Incoraggiando così quello che Naouri chiama “contagio”: «Non è un caso – dice – se il bullismo femminile che tanto ci inquieta cresce soprattutto al liceo, quando le ragazze iniziano a imitare i comportamenti, sessuali e non solo, dei maschi. E non è vero neppure che il fenomeno sia in crescita soltanto perché oggi viene denunciato. Un tempo i bulli esistevano già , erano i due o tre ragazzi “cattivi” di ogni scuola, ora sono troppi». E precocemente tecnologici: se è vero che a quattro o cinque anni si è tentati di imitare gli eroi dei cartoni, è altrettanto vero che a dieci o undici ci si iscrive, grazie a una piccola bugia, ai social network. «E in un mondo dove contano gli amici che hai su Facebook – conclude Luca Bernardo – il danno che può provocarti chi te li fa perdere e ti diffama per sempre è incalcolabile».

Post Views: 168

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2011/06/comincia-gia-con-la-scuola-materna-dilaga-su-internet-angoscia-migliaia-di-famiglie/