Città  d’arte ma con il 10 per cento di extraeuropei

by Editore | 29 Giugno 2011 4:44

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Battesimo contradaiolo per i ragazzi della seconda generazione. Le contrade di Siena non restano più prerogativa dei propri abitanti: si aprono al mondo diventando motivo di orgoglio per gli extraeuropei che hanno scelto di trasferirsi nella città  del Palio. Anche per questo Siena risulta oggi un fiore all’occhiello in fatto di integrazione.
La cilena Andrea Cecilia Searle ad esempio tiene corsi di danza e balli tradizionali presso vari spazi cittadini. Vive a Siena dal 2009 ma non è ancora cittadina italiana. «I documenti sono difficili da avere ma dipende un po’ da tutti noi. È importante muoversi a livello sociale e fare da soli le cose per se stessi» afferma. E i dati confermano che a Siena gli stranieri privi di permesso di soggiorno sono meno del 10% rispetto al numero dei regolari. Andrea Cecilia infatti non si scoraggia e riesce a ottenere piccole conquiste. Nonostante una laurea in Veterinaria conseguita in Cile non riconosciuta in Italia, ha frequentato un dottorato di Chimica ambientale all’università  per stranieri di Siena per continuare a lavorare con la sostenibilità  rurale, sua antica specializzazione. L’università  degli Stranieri è stata la tappa anche di Mohsen Sariaslani, iraniano a Siena dal 1992 per frequentare la facoltà  di Lingue e lettere. Mohsen non ha finito gli studi per le difficoltà  incontrate e ha scelto di aprire un negozio di artigianato: «Nessun aggancio, nessuna entrata economica mentre seguivo le lezioni e mi chiedevo come fare» ricorda. In quel periodo tira fuori l’idea vincente, quella di rispolverare un’antica capacità  sviluppata da piccolo in Iran: trasformare il restauro dei tappeti in lavoro. Mohsen diventa indipendente grazie alla sua personalità  socievole e sicura, che ha alle spalle una bella situazione di integrazione a Siena. Le sue idee sono chiare: «L’integrazione è perfetta se vuol dire che posso stare autonomamente senza creare problemi, ma se voglio fare qualcosa e vivere a modo mio non c’è integrazione vera. Dopo 22 anni ci si sente ancora stranieri per lo Stato che non ha strumenti per fare integrare le persone». Il pensiero di Mohsen testimonia la sua condizione di rifugiato politico tra sportelli per immigrati, questure affollate e uffici postali per rinnovare il permesso di soggiorno.
La peruviana Mercedes Servigon ha invece la cittadinanza italiana, dopo 15 anni a Siena, dove vive con suo marito e due figli che fanno vita di contrada (a Siena il 21% degli immigrati ha meno di 18 anni). Dopo una casa popolare definitiva, Mercedes si sente integrata: «Non frequento peruviani. Quando uno esce dal suo paese deve inserirsi in quello dove arriva. Non dimentico la mia cultura ma ciò non toglie che condivida quella italiana». Anche Rahma Mohamed Hassan, somala, ha la cittadinanza italiana, avuta dopo il matrimonio: vive in provincia, a San Casciano Bagni, dove lavora come fiorista. Ha fondato l’Aadbs (Associazione aiuto donne e bambini somali). «Il mio negozio mi rende orgogliosa perché mi aiuta economicamente , con l’associazione cerco di aiutare le persone che hanno bisogno».

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