Chi è più precario, i 440.000 lavoratori della scuola e della pubblica amministrazione o il ministro che li definisce «l’Italia peggiore»?
Non c’è chi non sappia che la pubblica amministrazione, sia statale che comunale che sanitaria e scolastica, si regge – anche per i suoi servizi più essenziali – sulla disponibilità di manodopera precaria. Scrivo disponibilità ma dovrei scrivere ben altro: «costrizione» renderebbe molto meglio l’idea, perché soltanto chi è costretto (dall’impossibilità di trovare altro, per esempio) può, come la stragrande maggioranza dei nostri giovani, accettare di lavorare a singhiozzo, in modo precario anzi precarissimo, con tutele vicino allo zero e incertezze totali sul futuro, che condizionano qualsivoglia progetto di vita lavorativa e privata. Eppure, il Ministro Brunetta, che non può non sapere come stanno le cose nella pubblica amministrazione e che del lavoro dei precari si avvale quotidianamente, non ha perso l’abitudine di insultarli e offenderli. Ad un convegno sulla innovazione nella pubblica amministrazione (innovazione… che parola grossa per uffici, a partire da quelli giudiziari, dove mancano persino i computer…) ha apostrofato un gruppo di precari che volevano rivolgergli qualche domanda con la seguente frase: «Siete la parte peggiore dell’Italia». Fino a quando sopporteremo che un esponente del governo (e quindi – nostro malgrado – dell’Italia a cui anche noi tutti apparteniamo) insulti le persone che con il loro scarsissimo ma sudato (e onesto) lavoro tengono in piedi tutta la baracca e pagano anche i suoi lautissimi stipendi da (pluriassenteista) ministro, docente universitario, ecc. ecc.? Davvero, non se ne può più. Speriamo che il vento di primavera portato dai tanti giovani che si sono mobilitati per i referendum e che certo hanno contribuito anche ai risultati delle recenti elezioni amministrative, spazzi via presto questi vergognosi personaggi che non si perìtano di occupare posti istituzionali di assoluto rilievo. Occupano il potere come se fosse «cosa loro». Abbiamo tutti ormai, almeno un figlio (anche due) o un membro delle nostre famiglie disoccupato, inoccupato, precario. Scalziamoli.
Delfina Tromboni
«Ci sedemmo dalla parte del torto, visto che tutti gli altri posti erano occupati» (B.Brecht). Fiera di far parte dell’Italia peggiore, e costantemente indignata.
Roberta
Tutti ormai siamo già venuti a conoscenza dell’incivile comportamento del Brunetta nei confronti della «precaria» che voleva fargli una domanda. Ciò che di sicuro è ignoto ai più è il complotto messo a punto dai piccioni della città di Venezia dopo un lungo tubare minaccioso. Fuori dalla grazia di dio gli orgogliosi pennuti, dimentichi di quell’antica «buona grazia» che li ha resi cari a frotte di turisti, hanno giurato, sulla testa dei loro figli e alta levando «une griffe d’honneur» (così la chiamano i nostri cugini d’oltr’Alpe), di prendere di mira il «nostro» se per caso egli osasse presentarsi in piazza San Marco. Posso assicurarvi che lo faranno per due motivi precisi. Primo perché sono piccioni d’onore che mai non fallano la parola data (e io lo so perché, veneziano d’antica data). Secondo perché, diabolici come sono, hanno già preso le misure e, imitando colui che chiamano amichevolmente «l’abbronzato», si sono messi a gridare per calli, rami, rughe, chiovere, corti, sotoporteghi, campi e campielli «Si può fare!».
Gino Spadon
Per capire quanto siamo arrivati in basso e quanto sia necessario risalire la china basta rivedere la sceneggiata di Brunetta e gli sproloqui di Straquadagno. Questa è la classe dirigente del paese guidata da Berlusconi-Bossi-Scilipoti. Questi nani del pensiero umano ci tengono prigionieri da troppo tempo. Non credo si possano sloggiare dal parlamento occupato, dove si sono trincerati grazie ad una legge elettorale iniqua, con manovre di partito ed intese «politiche». Credo che il popolo, finalmente sovrano, debba imprimere una svolta decisiva e completa. Per toglierceli dai calli. Basta coi rais e relative corti.
Giuliani Augusto
Vado contro corrente. Guardate, a me Brunetta fa tenerezza. Ma dico sul serio! Non può mica essere la personificazione del Male uno che, poveretto, è così goffo che, appena raggiunta una posizione di potere (come il giudice della canzone di De Andrè), sfoga la sua frustrazione abusando di un ruolo che gli permette di essere impunemente arrogante con chi è più debole. Diverso, ad esempio, è Mario Draghi: osannato a destra e a manca come persona autorevole e rispettabile, ma anche (ex?) esponente di una di quelle banche d’affari, la Goldman Sachs, che ha mandato a ramengo le vite di milioni di persone. Ecco, siccome l’indignazione mi costa energia, preferisco indirizzarla nel verso giusto. E Brunetta non la merita, se inveisce contro il «culturame» della «sinistra di merda» è solo perché quando era nel Psi e consulente della Cgil non è stato ammesso nei salotti cui anelava e verso cui ora ostenta disprezzo. È un uomo piccino, e mi fa anche pena. Non troppa però, perché anche la pena è un sentimento che costa energie che preferisco usare meglio.
Alessandro B.
Brunetta mi ha dato l’impressione di un uomo pieno di sogni che fugge dalla propria disperazione ed è stato colto da una crisi di nervi davanti ad una ragazza che, col solo qualificarsi precaria, ha in un attimo sfasciato i sempre più grotteschi e traballanti faccioni di cartapesta messi in piedi della retorica del «Governo del Fare».
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