Bloomberg e Cuomo, i due nemici che hanno vinto insieme
Washington – la verità è che sono ancora gli Stati Uniti d’America il luogo nel quale periodicamente scocca la scintilla dei diritti civili che il resto del mondo presto o tardi importa. L’idea fondamentale sulla quale questo esperimento politico e sociale chiamato United States fu costruito nel 1776 e fu riassunta da Thomas Jefferson nelle parole della Dichiarazione d’Indipendenza – «tutti gli uomini sono creati uguali e dotati di certi inalienabili diritti» – riaffiora anche dopo le tempeste più devastanti e sopravvive anche alle contraddizioni più sfacciate e ai dati deprimenti del prodotto interno lordo o dell’indebitamento. E tra questi «inalienabili diritti» non c’è la «felicità », come a volte sbagliando si dice e che nessuna carta potrebbe mai garantire: ma c’è la «ricerca della felicità », secondo le strade e le scelte che ogni individuo, bianco o nero, maschio o femmina, singolo o accoppiato, ha il diritto di percorrere.
Certamente il Thomas Jefferson che sentenziò la natura uguale di ogni essere umano nel 1776 non pensava ai gay, al movimento di liberazione della cittadinanza di seconda classe che proprio a New York nel «Village» nacque e che venerdì scorso ha spinto il sesto, e il più importante Stato americano, a riconoscere che chiunque, indipendentemente dal proprio genere, ha il diritto di vedere il proprio affetto per un altro essere umano riconosciuto davanti alla legge civile. Lui pensava a sovrani, autocrati, signori feudali investiti soltanto da misteriosi «diritti divini» superiori a ogni altro. Non pensava a schiavi africani, a omosessuali, a donne violentate che non vogliono portare a termine la gravidanza. Ma quando la ruota dell’eguaglianza civile si mette in movimento, arrestarla per sempre diviene impossibile senza snaturare la stessa macchina che la muove e altrettanto difficile è immaginarne il percorso.
Il progresso della «macchina dei diritti naturali» di ogni «creatura», come scriveva Jefferson riconoscendo quindi implicitamente l’esistenza di un «creatore» non è mai lineare e rarissimamente avviene senza ostacoli e opposizioni violente. Proprio quest’anno, il 2011, si è ricordato il 150esimo anniversario dello scoppio della Guerra Civile nel 1861, che richiese 600 mila morti e decenni di battaglie successive, altri morti e linciaggi per riconoscere che anche un uomo e una donna di sangue africano erano cittadini con la pienezza della propria libertà e dignità .
E se la faticosissima decisione del Senato dello Stato di New York di riconoscere civilmente il diritto di due uomini o due donne di unirsi in un vincolo d’affetto contrattualizzato come avviene fra uomini e donne, ha già suscitato gli anatemi della Curia e le grida dei repubblicani più fanatici, è facile ricordare come, fino a una generazione fa, anche un matrimonio fra due persone di colore diverso e di sesso diverso, era maledetto e vietato dalla legge. La «miscegenation», l’incrocio fra «razza bianca» e «razza nera» era considerato contronatura esattamente come oggi ancora viene guardata un’unione fra individui dello stesso sesso. O come, appena cento anni or sono, l’idea che un «negro» potesse votare era guardata alla stregua di un «animale che pretenda di eleggere un uomo» come scrisse un governatore del Mississippi.
Ma la macchina dei diritti, e dunque dei doveri che l’acquisizione di ogni diritto comporta, non avanza da sola, per la forza d’inerzia della propria giustezza. Occorre una mano, quella di un leader politico, di un movimento, di una strategia che la spinga, con tanta più forza quanto più essa è recalcitrante. A New York, che resta il cuore della civilizzazione americana di matrice culturale europea, è stata necessaria la convergenza di due personaggi diversissimi, come il nuovo governatore democratico cattolico, Andrea Cuomo, figlio di quel Mario che vent’anni or sono fu atteso invano come il rigeneratore del partito Democratico, e di un sindaco ebreo, Bloomberg, repubblicano indipendente e moderato, entrambi convintamente, e nel caso del sindaco, appassionatamente «etero».
Il loro sforzo comune ha spinto la riluttante macchina dell’assemblea legislativa dello Stato a fare quello che soltanto altri cinque Stati americani avevano finora fatto. Riconoscere che la cultura religiosa ha ogni diritto di rifiutare la propria benedizione all’unione di due persone dello stesso sesso e di considerarla come empia e contraria alle loro dottrine. Nessuna legge può costringere il cardinale di New York o il Rabbino capo a benedire l’unione di Mary e Ann o di John e Jack. Ma per aggiungere che lo Stato, che è l’espressione di tutti i cittadini indipendentemente dalle loro opinioni e fedi, non ha il diritto di negare il proprio riconoscimento legale alla libera scelta di due persone. Come Luther King sognava che l’America diventasse cieca davanti al colore della pelle, così Cuomo, Bloomberg e i repubblicani che hanno votato a favore della legge, tutti meno uno, hanno detto che il loro Stato deve essere cieco di fronte alle inclinazioni e alle scelte dei propri cittadini in materia di sessualità .
Trasformare questa vittoria locale per il movimento dei diritti civili in una vittoria nazionale, come pure Obama ha promesso, sarà impossibile, per il momento. Gli Stati Uniti sono una nazione realmente federale, che nacque, e continua esistere, non sulle secessioni o sulle devoluzioni artificiose, ma al contrario sulla spontanea concessione dei diritti locali a un governo centrale, alla Unione, per il migliore interesse collettivo. Soprattutto nel Sud l’omosessualità è ancora il demonio da bruciare. Non ci sarà una slavina di diritti matrimoniali estesi a gay e lesbiche in tutti i 50 Stati americani domattina e già i disperati candidati del partito repubblicano, i fanatici e i bigotti che si stanno sgomitando per sfidare Obama nel 2012, pregustano l’uso di munizioni omofobiche e tradizionaliste da sparargli addosso il prossimo anno, insieme con i dati della stagnazione o della lentissima ripresa economica.
Ma questa è politica politicante, che va e passa come il vento o i tornado nelle Grandi Prateria. La storia, quella che rimane, dice che venerdì scorso, la macchina meravigliosa costruita da Jefferson duecentotrentacinque anni or sono ancora funziona e ha fatto un altro scatto in avanti. L’abolizione della schiavitù, il voto alle donne, l’integrazione delle scuole e dell’esercito, l’invenzione del «Welfare State» purtroppo ancora incompiuti, il femminismo, il diritto della donne alla maternità cosciente, oggi le unioni civili – o religiose, se esisterà una chiesa disposta ad ammettere che anche i gay sono figli di Dio come gli altri – dicono che il declino materiale dell’America non è ancora, per fortuna di tutti, declino civile e umano e il viaggio continua. Ormai ci sembra normale, persino banale, che alla guida degli Stati Uniti ci sia una persona che 150 anni or sono avrebbe avuto lo stesso valore materiale di un mulo o di un aratro.
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