Battisti, ultima battaglia in Tribunale il Brasile verso il no all’estradizione

by Editore | 9 Giugno 2011 7:21

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BRASILIA – Cesare Battisti sarà  presto un uomo libero in Brasile. Ieri sera in una prima tornata di voto sul ricorso dell’Italia cinque giudici su nove si sono espressi contro l’estradizione. La discussione, molto dura, tra i magistrati è andata avanti con le motivazioni del voto ma l’ultima battaglia di Cezar Peluso e Gilmar Mendes sembrava già  persa. Il presidente del Tribunale, Peluso, e il relatore della causa, Mendes, furono a parti invertite i due magistrati che convinsero i loro colleghi a rovesciare, due anni fa, la decisione dell’allora ministro della Giustizia Tarso Genro annullando la concessione dello status di rifugiato politico e approvandone l’estradizione. In quella seduta cinque giudici votarono per l’estradizione di Battisti e quattro contro. Ma il 31 dicembre scorso, nell’ultimo giorno del suo mandato, il presidente Lula si rifiutò di firmare l’estradizione di Battisti sostenendo, sulla base del Trattato vigente fra i due paesi, che c’erano fondati «rischi di persecuzione per ragioni politiche» nei riguardi dell’ex terrorista in Italia.

Appena una settimana dopo il Presidente del Tribunale Supremo, Cezar Peluso, in seguito ad un ricorso presentato dall’avvocato che difende lo Stato italiano, impugnò la decisione di Lula e sancì che il caso doveva tornare all’esame dell’Alta Corte e che Battisti doveva restare nel carcere di Papuda.
Nel ricorso italiano, l’avvocato Nabor Bulhoes sostenne che per respingere l’estradizione il presidente Lula aveva utilizzato, con parole diverse, lo stesso argomento – «i rischi di persecuzione» – di cui si era valso il ministro della Giustizia per concedere l’asilo politico già  revocato dal Tribunale. Argomento non valido dunque visto che nella sentenza del novembre 2009 i giudici chiarirono che non vi era alcun «fondato timore di persecuzione politica» nei confronti di Battisti. Messa così la soluzione sembrerebbe facile ma dopo il rifiuto presidenziale una nuova sentenza del Tribunale contro la massima istanza dell’esecutivo (il presidente) aprirebbe un conflitto fra i poteri dello Stato dagli sbocchi imprevedibili.
Infatti quando votarono a favore dell’estradizione annullando la scelta del ministro della Giustizia, i magistrati decisero anche che l’ultima parola sarebbe stata quella del presidente, ossia quella del potere politico e non di quello giudiziario. Ed è per questa ragione che la sorte del conflitto nel quale si dibattono Italia e Brasile ormai da più di quattro anni sembra definitivamente segnata. Nonostante Peluso e Mendes, che poche settimane fa respinse un nuovo ricorso urgente dei difensori di Battisti che ne chiedevano l’immediata scarcerazione, la maggioranza dei giudici sarebbe orientata ad evitare altri strappi con il potere politico e a convalidare l’ultimo «no» all’estradizione dell’ormai ex presidente Lula. E’ ciò che si attende Luis Roberto Barroso l’ottimo avvocato che grazie ai fondi versati dalla giallista francese Fred Vargas difende Battisti.
«La Corte Suprema – ha detto Barroso poco prima dell’avvio dell’ultima seduta – aveva stabilito in maniera inequivocabile che la parola definitiva spettava al presidente. Lula ha agito entro i parametri stabiliti e l’Italia deve rispettare la decisione sovrana del Brasile. Non credo che la Corte Suprema farà  fare all’ex presidente una figuraccia internazionale invalidando un atto di politica estera».
«Se accettate la decisione del presidente – ha detto invece ai giudici Nabor Bulhoes, l’avvocato dello Stato italiano – sarete complici di una grave offesa all’Italia democratica». Secondo Bulhoes infatti l’argomento della «persecuzione per ragioni politiche» non solo è già  stato respinto dal Tribunale quando annullò lo status di rifugiato politico ma rappresenta uno schiaffo alle istituzioni italiane in quanto mette in dubbio lo Stato di diritto democratico. E’ quello che ribadì più volte con determinazione Napolitano nelle sue lettere a Lula e al nuovo presidente brasiliano Dilma Rousseff. Sostenere che se tornasse in Italia per scontare comunque solo una parte della sua condanna all’ergastolo (pena che in Brasile non esiste, il massimo sono 30 anni) l’ex terrorista potrebbe subire una persecuzione in virtù delle sue posizioni politiche è stata la linea maestra della difesa e dello stesso Battisti che in una intervista ad un settimanale brasiliano sostenne: «In Italia mi uccideranno».

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