Avanti tutta, con 27 milioni di ragioni

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Un lungo applauso fragoroso, liberatorio, ha aperto ieri la riunione dei comitati. Tutti i presenti in piedi, nella breve platea, presso lo sbilenco tavolino degli oratori, lungo le pareti scrostate e rallegrate da qualche notissimo manifesto della recente campagna. Per una volta erano tutti felici. Era lo stato maggiore di 27 milioni di voti, un piccolo gruppo di uomini e donne che aveva portato a termine un risultato senza precedenti, capovolto le leggi fisiche della più forte maggioranza parlamentare della Repubblica, ristabilita l’eguaglianza dei cittadini di fronte al giudice, liberata l’acqua dal mercato, cancellata per sempre l’ipotesi nucleare nelle regioni italiane.
Al microfono si sono alternati rappresentanti del movimento dell’acqua bene comune e contro le centrali nucleari: tra tutti, Paolo Carsetti, Maria Maranò, Alex Zanotelli, Gianni Mattioli. Paolo rappresenta il paradosso dei referendum. E’ conosciuto tra quelli dell’acqua – quelli che hanno raccolto 1,4 milioni di firme, preparato i quesiti, diretto la campagna – al punto che ne è stato il responsabile principale; al tempo stesso si è tenuto in disparte ed è poco noto nel vasto pubblico. Questa volta è lui che dirige la discussione ed è lui che ne riassume la portata: «fuori l’acqua dal mercato, fuori i profitti dall’acqua». Osserva che tra i potenti, dentro il governo e non solo, già  qualcuno osserva che se il referendum ha fatto cadere il castello di carte del fu ministro Andrea Ronchi, valgono le leggi precedenti e quindi occorre mettere tutto in ordine, rilegiferando in materia. La risposta è netta. Al ministero dell’Ambiente, in qualche cassetto, c’è la proposta di legge di iniziativa parlamentare presentata nel 2007, durante il governo di Romano Prodi, al presidente della Camera Fausto Bertinotti, e poi dimenticata dalla politica. Ora la legge ha parecchi sostenitori, 27 milioni o poco meno e quindi da lì si deve partire. Bisogna rispettare prima di tutto la volontà  popolare. Nell’ultimo periodo, il governo preoccupato per l’esito dei referendum aveva tirato fuori dalla manica l’asso dell’authority. Del tutto inutile, conclude Paolo, non c’è più mercato, non ci sono profitti da autorizzare: molto più facile rispettare la volontà  popolare; e fermarsi lì.
«La nostra campagna – inizia Maria Maranò, alla testa dei comitati contro il nucleare – è stata povera, bella, propositiva». Siamo arrivati a raccolta firme avvenuta (da parte dell’Idv di Di Pietro), ma non siamo partiti da zero. Vi erano molte associazioni locali che hanno subito risposto all’appello. La linea adottata e vincente è stata una soltanto, senza esitazioni: una completa trasversalità  politica e culturale. Nessuno era tagliato fuori per le posizioni politiche; anzi, la politica ne è rimasta fuori. Contava solo il merito e ce n’era già  abbastanza. Abbiamo attraversato momenti difficili, quando il governo ha inventato la moratoria e poi ha presentato il decreto omnibus. Qui è stato il movimento intero che ha deciso di continuare, senza mollare neppure per un istante; e ha avuto ragione, su tutta la linea, nel fatto e nel diritto, come ha mostrato la Cassazione. Inoltre «la vera unità  d’Italia l’abbiamo fatta noi». Per la prima volta un voto è stato uguale al Nord e al Sud. Tutte le regioni hanno raggiunto il quorum, anche quelle dove, per motivi comprensibili, il movimento appariva più povero. Maria è una donna giovane, di molto bell’aspetto. «Il movimento era zeppo di gente molto più giovane di me, tutti nati dopo il 1986 di Cernobyl, dopo il vecchio referendum del 1987». Tutti decisi però a cancellare il nucleare, per progettare una vera rivoluzione ambientale,con l’impegno di raggiungere il 2050 con solo energia pulita, chiudendo ogni produzione di CO2, con trasporti nuovi e città  riorganizzate. «Il nostro comitato si chiude e si riapre subito, per sostenere un piano energetico nazionale, fatto però di tanti piani locali». Il concetto chiave è che bisogna fare presto.
Alex Zanotelli ha ricevuto felicitazioni da lontano: anche da suore missionarie dal centro dell’Africa. Tutti hanno apprezzato la nostra battaglia «contro la bestemmia dell’acqua». La nostra vittoria nel referendum è la vittoria di tutti i Sud del mondo. Abbiamo lottato anche per loro. L’acqua – afferma – è la madre comune; ormai anche la scienza lo sa. E vendere nostra madre sarebbe la peggiore bestemmia. Poi Alex scende sul concreto e ricorda la battaglia di Bruxelles dove la pressione dei padroni dell’acqua è enorme e quindi la decisione italiana, in contro tendenza, ha un valore formidabile. Il movimento di oggi è la vera continuazione di quello che è stato sconfitto a Genova, giusto dieci anni fa. E invita tutti a Genova per ricordare insieme e fare insieme una promessa.
«Adesso governiamo noi» promette Gianni Mattioli, reduce da tante battaglie ambientaliste. L’«altra volta» ci siamo fidati e ci hanno ingannato. Per questo i comitati devono restare. «La gente ha buona volontà  ma servono notizie e certezze». Poi assicura che nonostante la lesina di Mariastella Gelmini e Giulio Tremonti, con quattro soldi soltanto, l’alta ricerca è sempre in tiro, nell’Università  e al Cnr. Questo è il momento di riempire la ricerca con i contenuti e la forza sapiente di un grande movimento che sa quello che vuole.


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