Attentato all’hotel per i migranti

by Sergio Segio | 2 Giugno 2011 5:29

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Un boato in pieno giorno, poco prima della pausa pranzo, nel centro di Vazzola, nel Trevigiano, paese di 7mila anime a forte connotazione leghista. Una bombola di gas, per fortuna vuota e arrugginita, è stata lanciata contro l’ingresso dell’albergo, da tempo in disuso. Non c’è traccia dell’attentatore, anche se i carabinieri di Conegliano qualche elemento l’hanno già . Non ci sono stati danni, ma l’obiettivo, più che far del male, era un altro. Ed è stato pienamente raggiunto. Il titolare dell’hotel, Egidio Bernardi, che aveva accolto l’invito della prefettura di Treviso, dicendosi disponibile ad ospitare la trentina di libici destinati al paese di Vazzola, alla vista di quella vecchia bombola arrugginita e di un volantino pieno di minacce contro di lui e la sua famiglia, ha allargato le braccia e alzato bandiera bianca: «Mi dispiace, a questo punto non ci sto, mi tiro indietro: l’albergo non è più disponibile» . Una decisione che il sindaco del paese, Maurizio Bonotto, a capo di una giunta Pdl e Lega, non ha faticato a condividere; e non solo per l’impressione suscitata dal rudimentale attentato («Un atto mafioso» l’ha definito il primo cittadino), ma soprattutto perché, non più tardi di due giorni fa, la giunta aveva fatto sapere alla prefettura di Treviso, con tanto di lettera, di non essere disponibile ad accogliere i 30 profughi, ritenendo il numero sproporzionato alle dimensioni del paese, che, stando ai criteri fissati dalla Regione, avrebbe dovuto al massimo ospitare tre libici, non uno in più. La bombola arrugginita di Vazzola fa il paio con la falsa bomba che una ventina di giorni fa mani sconosciute hanno piazzato davanti all’ingresso di un istituto a Roana, nel Vicentino, dove erano attesi 250 libici. Due episodi che, nella loro ingiustificabile carica di violenza, costituiscono purtroppo la punta dell’iceberg di un malessere che in Veneto sta mettendo a dura prova le capacità  di governo e di tenuta della Lega, costretta da un lato a recepire le direttive del ministro Maroni in tema di accoglienza e dall’altro a fronteggiare i crescenti malumori della base. Le frontiere dove maggiore è il nervosismo sono proprio Treviso e Vicenza dopo che i rispettivi presidenti di Provincia, Leonardo Muraro e Attilio Schneck, hanno alzato barricate durante la campagna elettorale per le amministrative, contestando numeri e modalità  del piano accoglienza e invitando i sindaci leghisti a fare altrettanto. Il governatore veneto Luca Zaia, che aveva affidato all’ingegnere Roberto Tonellato (lo stesso che si occupò lo scorso inverno dell’emergenza alluvione) il compito di gestire l’arrivo e lo smistamento dei profughi, a quel punto si è sfilato: ha revocato la delega all’esperto e ha invitato Roma «a nominare un nuovo soggetto attuatore» . Da quel momento, la partita profughi è stata gestita direttamente dalle prefetture che hanno avviato trattative con singoli albergatori, sondandone la disponibilità . Un compito che in provincia di Treviso si è rivelato tutt’altro che semplice: dei 930 profughi finora accolti in Veneto, solo 70 hanno trovato un tetto nel Trevigiano (40 ospitati dalla Caritas, 30 in un hotel a Conegliano). E il lancio della bombola, anche se vecchia e arrugginita, rende l’orizzonte ancora più fosco.

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