by Editore | 11 Giugno 2011 7:39
Abbattuto in una via di Mosca a colpi di pistola da un killer davanti a casa, l’ex colonnello dell’esercito Yurij Budanov, uomo-simbolo dei crimini di guerra russi in Cecenia. Sul movente dell’omicidio e sulla sua matrice, certamente politica, si scontrano due ipotesi: c’è chi punta il dito sui gruppi organizzati ceceni, che avrebbero così voluto vendicare una ragazza uccisa undici anni fa da Budanov; e c’è chi pensa che il delitto possa essere una provocazione dell’estrema destra per eccitare il risentimento anti-caucasico e avviare una spirale di violenze incontrollate. Non si possono escludere nemmeno altre ipotesi, per esempio che qualcuno molto potente (magari nelle alte sfere militari) abbia voluto sbarazzarsi di un personaggio ormai scomodo.
La vicenda giudiziaria di Yurij Budanov ha spaccato la Russia per anni, collocandosi al centro dello scontro fra nazionalisti e difensori dei diritti umani. Nel marzo 2000 il colonnello, che comandava un’unità di tank in Cecenia, violentò, torturò e infine uccise strangolandola una ragazza di 18 anni, Elsa Kungayeva, da lui accusata (a torto) di essere una “cecchina” dei guerriglieri. Arrestato pochi giorni dopo, il suo processo andò avanti per oltre due anni tra perizie psichiatriche e colpi di scena vari; al termine, Budanov venne condannato a 10 anni per omicidio, ma nella sentenza non vennero più nominate la violenza carnale e le torture, pur ampiamente provate.
Durante la detenzione Budanov fu trasformato in una sorta di eroe dagli ambienti ultranazionalisti e da una parte dei vertici militari, mentre sul fronte opposto i ceceni di tutti gli schieramenti – dai guerriglieri islamisti ai governativi pro-russi del presidente Kadyrov – furono compatti nel ritenerlo un nemico assoluto. Più volte esponenti militari e politici connessi con l’estrema destra cercarono di ottenerne la liberazione, finché nel 2008 il tribunale militare gli concesse infine uno sconto di pena di 15 mesi, consentendogli di uscire di carcere nel gennaio 2009. Contro la decisione del tribunale fece appello, a nome della famiglia della vittima, l’avvocato dei diritti umani Stanislav Markelov; pochi giorni dopo la liberazione di Budanov, Markelov fu ucciso da un killer in una via centrale di Mosca insieme alla giovane giornalista Anastasia Baburova che era con lui in quel momento. Per il duplice omicidio sono stati recentemente condannati due neonazisti, al termine di un processo che ha lasciato aperti molti interrogativi; in molti hanno pensato che la Procura abbia deliberatamente scelto di tener fuori dal processo proprio gli ambienti nazionalisti legati a Budanov, centrando le indagini solo sui gruppi più marginali. Anche l’uccisione della giornalista Anna Politkovskaja, nell’ottobre 2006, è stata messa da qualcuno in relazione al caso Budanov, su cui aveva scritto molto.
L’omicidio di ieri apre ora scenari ancor più complessi. E’ vero che il risentimento e l’odio contro Budanov erano fortissimi tra i ceceni, e che lo stesso presidente Kadyrov aveva in qualche modo «coperto» preventivamente eventuali vendette. Ma è anche vero che ormai l’ex colonnello, in libertà , non serviva più agli ambienti politici e militari che lo avevano usato come simbolo, ed era quindi «sacrificabile” per ottenere dei risultati politici utili, tanto più in quanto a conoscenza di informazioni pericolose riguardo personaggi importanti di quegli stessi ambienti: Budanov è stato il militare russo più alto in grado processato per crimini di guerra in Cecenia, crimini che in realtà sono stati commessi su scala ben più vasta e con la piena connivenza degli stati maggiori.
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