by Sergio Segio | 30 Giugno 2011 13:16
Roma – Tempi bibblici per l’asilo politico, accordi fuori dal diritto internazionale per rispedire i profughi in Libia nonostante la guerra in corso e il decreto voluto dal ministro dell’Interno Maroni che da un giorno all’altro ha portato da sei a 18 mesi la detenzione nei Cie, senza adeguare le strutture. Sono questi i temi cruciali dell’emergenza sbarchi che hanno spinto Medici senza frontiere a lanciare più di un allarme. “Il problema con l’Italia è che trattiamo questo fenomeno sempre come un’emergenza anche se va avanti da anni”. E’ quanto afferma Konstantinos Moschochoritis, direttore generale di Medici senza frontiere Italia. “Dopo la primavera araba e il caso specifico della Libia erano prevedibili le conseguenze per l’Italia – continua – Sapevamo benissimo da tempo la situazione dei cittadini di paesi terzi presenti in Libia per transito, per lavoro o nei campi di detenzione, quindi era ovvio che sarebbero fuggiti dalla guerra. Invece ci sono state misure emergenziali non adeguate. L’esempio di Mineo e della lentezza della procedura d’asilo è un caso chiaro che non siamo adeguati alla realtà . Anche se ora al cara di Mineo hanno aumentato il ritmo, nessuno può smentirci quando diciamo che le procedure sono lentissime”. Ecco perché Msf ha parlato di un “limbo che è difficile da gestire”. Per quanto riguarda i centri di espulsione e di identificazione, Moschochoritis sostiene che “crea grande preoccupazione l’allungamento della detenzione da sei a diciotto mesi”. Secondo il direttore generale di Msf, “può solo provocare ulteriori problemi, tecnicamente ci sono conseguenze pratiche di questa estensione fatta da un giorno all’altro senza l’adeguamento delle strutture. Prima si stava soltanto due mesi, poi sei e ora se si devono trattenere le persone per un anno e mezzo serve una pianificazione completamente diversa, anche dal punto di vista medico e psicologico”.
Msf boccia soprattutto l’accordo Italia – Libia sul respingimento dei migranti, rinnovato ora con il Consiglio nazionale di transizione di Bengasi, che l’Ong definisce senza mezzi termini “esempio di questa politica cinica”. L’organizzazione umanitaria sottolinea che “con l’obiettivo della ‘lotta contro l’immigrazione illegale’, gli Stati europei negano a rifugiato e richiedenti asilo la protezione e il trattamento a cui hanno diritto, condannandoli a una situazione di ‘limbo’ che aumenta la loro sofferenza”.
Moschochoritis rincara la dose: “L’accordo con il Comitato di transizione è ancora con un paese che non ha firmato la convenzione di Ginevra, ormai tutti conoscono le condizioni dei migranti in Libia e ora c’è anche la guerra”. Il direttore generale rinnova così l’appello agli Stati europei già lanciato lo scorso 19 maggio: “Abbiamo detto ai leader europei che se interveniamo militarmente per proteggere i civili in Libia, la protezione non si ferma al confine e quando questi vengono in Europa non può diventare un problema, la protezione va data anche qui”. A parlare chiaro sono anche le cifre. “In Italia abbiamo ricevuto 25mila tunisini e 19mila subsahariani dalla Libia, quando i paesi confinanti, Tunisia ed Egitto, hanno accolto 630mila persone in fuga dalla Libia, soprattutto i tunisini hanno mostrato grande solidarietà verso i profughi e hanno trattato questo problema senza gli allarmismi che qui abbiamo avuto per numeri molto inferiori”. Secondo il direttore generale di Msf “il problema della guerra in Libia è per i paesi confinanti, non per l’Italia”. Mentre per i 19mila profughi arrivati come richiedenti asilo, ma cittadini di paesi terzi e non libici, non è chiaro cosa succederà . Non si sa se potranno ottenere la protezione oppure avranno un diniego. E, in quel caso, dicono gli esperti, andrebbero a ingrossare le fila dei braccianti stranieri stagionali, sfruttati nei campi perchè senza permesso di soggiorno. (raffaella cosentino)
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