Arriva il «signor altrove»

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PARIGI – La nomina di Mario Draghi alla successione di Jean-Claude Trichet alla testa della Bce è stata approvata a grande maggioranza dalla Commissione affari economici e monetari, martedì. Il percorso che dovrebbe portare alla scelta definitiva di Draghi, unico candidato, non è ancora finito: il parlamento europeo si esprimerà  in seduta plenaria il 23 giugno, mentre il sì definitivo verrà  dal Consiglio europeo, del 23 e 24 giugno, per un’assunzione della carica il 1° novembre prossimo.

L’audizione di Draghi di fronte alla commissione degli affari economici e monetari del Parlamento europeo non è stata una semplice passeggiata. Draghi è stato interrogato sul suo passato di vice-presidente della banca statunitense Goldman Sachs. Mentre la Grecia si infiamma e lotta contro la cura di austerità  che rischia di soffocare il paese, le domande sul passato di Draghi non sono inutili. Difatti, Mario Draghi, il «signor altrove», era stato assunto dalla Goldman Sachs nel 2000 specificamente con l’incarico di «sviluppare l’attività  della banca presso i governi e le loro agenzie» in Europa, cioè di occuparsi dei debiti sovrani nel vecchio continente. All’inizio degli anni 2000, cioè quando Draghi era vice-presidente con l’incarico di occuparsi dell’Europa, la Goldman Sachs ha firmato dei contratti con lo stato greco, consigliandogli i prodotti derivati, utilizzati per camuffare l’inadeguatezza della situazione greca ad entrare nell’euro. En passant, la Goldman Sachs ha guadagnato 300 milioni di dollari per questi «consigli». Martedì, Draghi ha smentito, ha assicurato di non essere stato al corrente di questa storia greca. «Questi contratti sono stati firmati prima del mio arrivo alla banca», ha affermato. Ma per gli eurodeputati francesi Pervenche Berès (socialista) e Pascal Canfin (ecologista, che ha creato Finance Watch, che vuole essere un Greenpeace della finanza) la smentita di Draghi è solo «una favola». Draghi, per Canfin, si è dedicato alla «creatività  contabile» che ha permesso alla Grecia di mascherare i conti, manovra che adesso la sta trascinando nell’abisso. Inoltre, nel contesto dell’attacco all’euro via Grecia, Portogallo e Irlanda, a guadagnarci per ora sono soprattutto le istituzioni finanziarie, soprattutto statunitensi, che hanno assicurato il rischio delle banche europee che si sono esposte nei debiti sovrani.
Martedì sera, i ministri delle finanze dell’eurozona non sono riusciti a mettersi d’accordo a Bruxelles sulle modalità  per attuare il secondo piano di aiuti alla Grecia. È in corso un braccio di ferro tra la Bce, che ha nelle sue casse 75 miliardi di euro di debito greco, portoghese e irlandese (ha comprato dalle banche parte dell’esposizione a rischio), e la Germania, che vorrebbe un contributo «sostanziale» del settore privato al piano di salvataggio della Grecia.
In questo contesto di incertezza, sono entrate in gioco a gamba tesa le agenzie di rating. Dopo aver svalutato i buoni del Tesoro greci a CCC (valutazione della Standard & Poor’s), cioè al livello di titoli-spazzatura, adesso minacciano di degradare alcune banche troppo esposte in Grecia. Moody’s potrebbe abbassare il rating di tre banche francesi, Bnp-Paribas, Société Générale e Crédit Agricole, che, dopo le tedesche, sono le più esposte in Grecia (22,7 miliardi di dollari per le tedesche, 15 miliardi complessivamente per le francesi). A Parigi assicurano che il rischio, per le banche francesi, è minimo, che può essere coperto dai forti utili accumulati, anche nel caso si verifichino le previsioni più pessimiste di un default della Grecia (in questo caso-limite, oltre ai rischi di «contagio» nella periferia dell’eurozona, sarebbero le banche greche a fallire, e due, Geniki e Emporiki, sono rispettivamente di proprietà  della Socgen e del Crédit Agricole).
Nella relazione semestrale, la Bce ha sottolineato ieri il fattore «destabilizzante» della quantità  di titoli di stato dei paesi periferici posseduti dalle banche. La Bce sottolinea il rischio di un «effetto contagio»: il governatore della Banque de France, Christian Noyer, membro del consiglio dei governatori della Bce, ha insistito sulla necessità  di esaminare tutte le soluzioni che possano evitare «il rischio di default» della Grecia, uno «scenario da catastrofe»: la «prima preoccupazione – ha affermato – è il finanziamento dell’economia greca. La seconda preoccupazione sono i rischi di contagio».
Ma i ministri dell’eurozona non sono ancora d’accordo sul livello di implicazione dei creditori privati, che dovrebbero intervenire per una trentina di miliardi nel caso di una ristrutturazione «dolce» (la Grecia dovrebbe trovare 120 miliardi con le privatizzazioni). Se si debba fare su base «volontaria» o «obbligatoria», per un rinnovamento dei titoli del debito arrivati a scadenza (posizione francese) oppure attraverso uno scambio delle obbligazioni sul debito contro dei titoli, cioè allungamento dei termini (posizione tedesca), Bce, Francia e Germania non hanno ancora trovato un’intesa. La Commissione, intanto, alza la voce contro il gioco sporco delle agenzie di rating. «Penso che siano una delle cause della crisi – ha affermato Michel Barnier, commissario al Mercato interno – perché hanno valutato male i rischi». La Grecia era ancora valutata A nel 2009 (quinto buon voto su una scala di 20), alla vigilia dell’ammissione di aver mentito sull’entità  del debito pubblico.
La posta in gioco non è solo economica e finanziaria, ma anche politica, e questo vale non solo per i greci ma anche per i tedeschi. Angela Merkel, per far fronte al suo elettorato che si sente chiamato sempre a pagare per gli altri, ha criticato i «fannulloni» del sud d’Europa, che vanno troppo in vacanza mentre i tedeschi lavorano. Eppure, i dati Ocse dicono il contrario: la «durata media effettiva del lavoro» è di 1390 ore l’anno in Germania, mentre in Grecia è di 729 ore in più (e in Italia si lavora 380 ore in più che in Germania).


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