Anche la Svizzera dice addio all’atomo “Le energie alternative sono meno care”
LUGANO – L’effetto Fukushima è arrivato anche in Svizzera che, ieri, analogamente alla Germania, ha sancito l’uscita dal nucleare il più presto possibile. «Fuori dall’atomo entro il 2034», l’annuncio un po’ a sorpresa, lo scorso 25 maggio, della ministra dell’ambiente, la democristiana Doris Leuthard, cui è seguito, ieri, un dibattito fiume in Parlamento. Il quale ha sottoscritto la decisione del governo, con 126 voti contro 64.
La ministra dell’ambiente si è detta convinta che «trovare un’alternativa a quel 40% di energia elettrica, prodotta oggi dalle 5 centrali nucleari svizzere, sia realistico dal punto di vista politico, economico e tecnologico». «C’è una Svizzera dell’innovazione, fatta di imprenditori e di ricercatori, in cui ho piena fiducia», ha sottolineato con convinzione. Una professione di fede fatta, anche, per superare lo scetticismo dei partiti più vicini agli ambienti economici, secondo i quali senza l’atomo il prezzo dell’elettricità rischia di triplicare. Invece, per Doris Leuthard, così come per i verdi e per i socialisti, il futuro è costituito dalle energie rinnovabili che, oltretutto, costituiscono un’opportunità per le imprese, con conseguenti ricadute positive per l’impiego. «Costruire una nuova centrale – ha detto ieri la ministra svizzera dell’ambiente – costerebbe 6 miliardi di franchi, mentre abbandonare il nucleare è un’opportunità ».
Il governo si è impegnato, di conseguenza, ad effettuare investimenti importanti nelle tecnologie innovative, oltre a promettere incentivi a quegli imprenditori che dimostreranno di credere nel nuovo corso energetico. Rassicurazioni che, però, non convincono Economiesuisse, la confindustria svizzera, la quale denuncia «l’assenza di alternative credibili all’energia nucleare», paventando che «sia a rischio la stessa sicurezza energetica del paese».
Resta il fatto che Doris Leuthard, cui è spettato il compito di prendersi la responsabilità di una rivoluzione epocale, per la Svizzera, ha ammesso che «il nostro cambiamento di strategia, rispetto al 2007, non ci sarebbe stato senza Fukushima». In effetti, nel 2007, il governo svizzero decise di proseguire sulla via del nucleare, sostituendo in modo graduale le 5 centrali esistenti, con impianti di nuova generazione, cui affiancare delle centrali a gas, per prevenire il rischio di penuria energetica. Ma quel piano, alla luce del disastro giapponese, oggi è carta straccia e la signora Leuthard si è resa conto che «il rischio del nucleare è cresciuto in modo inaccettabile». Senza considerare, ha spiegato, che «l’aumento del livello di sicurezza richiesto per il funzionamento di una centrale provoca un aumento del prezzo dell’energia prodotta con l’atomo, riducendo il divario con il costo della produzione di energie rinnovabili».
Ma che l’uscita dal nucleare sia una questione si sicurezza, lo ha evidenziato il dibattito parlamentare di ieri: «Mà¼hleberg – ha tuonato una deputata socialista, facendo riferimento ad uno degli impianti esistenti – è stata costruita all’epoca delle macchine da scrivere. Non possiamo fidarci di tecnologie che, in un caso su cento, conducono a delle catastrofi».
Related Articles
Dall’acqua all’edilizia: il business del capitalismo municipale
Quasi 4 mila società , ma solo un terzo offre davvero servizi pubblici ai cittadini
Vertice sull’ultimo dei problemi
Lunedì le Nazioni unite hanno celebrato la «Giornata mondiale del gabinetto», World Toilet Day. Può sembrare strano, ai cittadini del Nord globale del mondo (il Nord geografico e quello sociale): per loro è l’ultimo dei problemi, o meglio: non è affatto un problema, salvo estemporanei guai d’ordine idraulico (o la sporcizia delle ritirate sui treni). Ma per 2,7 miliardi di persone nelle aree impoverite, è il problema in un certo senso «finale»: quello iniziale essendo la disponibilità di cibo e acqua per i bisogni essenziali.
Mille roghi alla settimana e l’estate dei piromani ci costa trecento milioni