Altri due generali della Finanza indagati per le soffiate alla P4 “Quella a Bisignani non fu la prima”

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Insomma, quel che ancora deve venire di questa storia di “talpe” e “infedeltà ” ad uso della rete di Luigi Bisignani, potrebbe persino far impallidire il suo incipit, che ha già  travolto il Capo di stato maggiore Michele Adinolfi (indagato per rivelazione di segreto di ufficio e favoreggiamento) e il generale Vito Bardi, comandante interregionale per l’Italia meridionale (indagato con Adinolfi per gli stessi reati). Fonti qualificate confermano infatti che nell’inchiesta P4 ballano i nomi di almeno altri due generali, coperti da “omissis” nelle carte sin qui depositate dalla Procura, e la cui posizione formale nell’istruttoria sarebbe già  quella di indagati. E questo perché i pubblici ministeri napoletani sono convinti – e ne avrebbero già  delle evidenze – che la “soffiata” che consentì a Luigi Bisignani di sapere con certezza di essere ascoltato al telefono perché oggetto di un’inchiesta della Procura di Napoli (circostanza di cui Marco Milanese è principale testimone di accusa) non fu “una prima volta”. Dunque, che un network di alti ufficiali dello Stato maggiore, “organici” alla maggioranza di centro-destra, abbia nel tempo assicurato stabilmente un flusso di notizie riservate su inchieste con immediate ricadute politiche in grado di mettere Palazzo Chigi e la sua dependance di piazza Mignanelli in condizione di conoscere e dunque anticipare il lavoro della magistratura inquirente. 
Marco Milanese, dunque. Indagato da tempo dalla Procura di Napoli in due diverse inchieste e da quella di Roma per la compravendita della sua barca (utilizzata, nella ricostruzione del pm Paolo Ielo, per dissimulare il pagamento di una tangente ballata sugli appalti Enav), è l’uomo indicato dallo stesso Luigi Bisignani nel suo ultimo interrogatorio di garanzia al gip (20 giugno) come una delle sue principali fonti di notizie riservate (lo avverte di avere “i telefoni sotto” in almeno una circostanza, che Bisignani non sa o non vuole collocare temporalmente in modo preciso). E’ l’ex ufficiale della Guardia di Finanza che Giulio Tremonti vuole giovanissimo nel suo studio tributario e che per un decennio accompagna la carriera politica del suo mentore, governando e sorvegliando per suo conto le nomine negli enti a partecipazione statale, le carriere e gli equilibri nella Guardia di Finanza. Ebbene, deve essersi sentito perduto. Comunque a fine corsa. Stretto in una tenaglia giudiziaria cui era impossibile sottrarsi. E, dunque, ha deciso di parlare. Negli ultimi mesi, ha risposto alle domande dei pm napoletani in due interrogatori che sono stati segretati. Mercoledì scorso, ha sostenuto un complicato confronto con il generale Michele Adinolfi, di cui si era sempre detto «amico personale», senza modificare di un nulla la sua versione. Ha ribadito, in quella sede, di aver partecipato «a una cena, tra il settembre e l’ottobre del 2010» (forse quella indicata nel verbale allegato agli atti dell’inchiesta di Manuela Bravi, la compagna di Milanese), durante la quale il capo di stato maggiore della Guardia di Finanza gli avrebbe personalmente confidato l’intenzione di mettere al corrente Luigi Bisignani di quanto stava accadendo a Napoli, utilizzando quale ambasciatore il giornalista Pippo Marra, presidente dell’agenzia di stampa Adn Kronos. Una ricostruzione che non convince per niente il senatore dell’Idv Luigi Li Gotti, difensore di Marra: «Non si capisce – dice – per quale motivo Adinolfi avrebbe avuto bisogno di rivolgersi a Marra, che per altro nega in modo assoluto la circostanza, per fare arrivare una notizia riservata a Bisignani». «Tuttavia – aggiunge – è evidente che la scelta di Milanese di accusare Adinolfi segnala che sta succedendo qualcosa di molto serio». 
«Ha fatto solo il suo dovere e per questo sta subendo agressioni verbali», dicono gli avvocati di Milanese, Bruno La Rosa e Franco Coppi. Ma quelle «aggressioni» messe insieme alla dimissioni da consigliere politico con cui ieri pomeriggio ha reciso formalmente il cordone ombelicale con il ministro dell’Economia, segnalano qualcosa di più. Una scelta irrevocabile, forse “obbligata”, di andare da solo a uno scontro che, verosimilmente, non lascerà  nella polvere il solo generale Adinolfi. Dello Stato maggiore della Guardia di Finanza, Marco Milanese conosce anche i posaceneri. E’ (era) legatissimo a Michele Adinolfi. Ha da sempre un rapporto privilegiato con Emilio Spaziante, co-protagonista dell’affaire Speciale-Visco ed eminenza grigia del Corpo, e con Giuseppe Zafarana, giovane astro nascente, pupillo di Nicolò Pollari. Non a caso, forse, tutti e tre presenti nelle carte napoletane, evocati sin qui dai ricordi di Luigi Matacena, uno degli imprenditori vittime di Alfonso Papa.
La Politica tace. Ad eccezione del solo Pd che, con Emanuele Fiano, presidente del forum sicurezza, parla di «scenario inquietante, che desta preoccupazione» e chiede che su quanto sta accadendo alla Guardia di Finanza il Governo riferisca in aula.

 


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