by Editore | 25 Giugno 2011 8:49
NAPOLI – Caivano, Acerra e adesso Castellammare di Stabia. La provincia partenopea insorge, perché a ogni crisi spunta il nome di una località da sacrificare all’eterno incompiuto, il ciclo integrato dei rifiuti. Spesso sono sempre gli stessi luoghi a pagare. A volte spuntano new entry, come Castellammare appunto: la città del cantiere e delle acque, devastata dalla crisi economica, non ci sta a stoccare rifiuti negli spazi dell’ex stabilimento Aranciata Faito. Stop ai due siti di trasferenza nella città dell’inceneritore più grande d’Europa, ricorso al Tar del Lazio per Caivano, dove lo sversatoio per lo stoccaggio momentaneo è vicino a industrie agroalimentari. Vigilano pronti alle barricate anche a Giugliano. La città potrebbe diventare la capitale mondiale del disastro rifiuti. Quello che si chiama un caso di scuola.
Durante l’ultima emergenza prima di quella in corso – a dicembre scorso – si erano visti recapitare l’immondizia accumulata nel napoletano: «si tratta di allestire un sito di trasferenza», avevano detto. Delle 10mila tonnellate depositate, ne sono rimaste 3mila in giacenza, dimenticate. «Fino a qualche settimana fa c’erano ancora – racconta Domenico Di Gennaro, del Presidio permanente Taverna del Re – ma si vocifera che siano andati a toglierle perché ci volevano sversare di nuovo i rifiuti». La popolazione allora è corsa a presidiare il municipio e il sindaco Pdl, Giovanni Pianese, si è affrettato a dire no. Ma la situazione resta esplosiva. In strada ci sono cumuli di rifiuti tali da togliere il fiato per la puzza. Se il centro storico e qualche zona è vivibile, in compenso al Sacro cuore, alla Biblioteca comunale, vicino la scuola elementare di via Giardini, a due passi dalla polizia di Stato, ci sono isole lunghe 30, 40 metri fatte di rifiuti. A via Madonna del Pantano la collina è lunga più di un chilometro e alta due metri. Anche lì c’è una scuola. Un parco giochi ha già chiuso: l’accesso era completamente ostruito dall’immondizia accumulata e poi, in questa condizione, nessuno ci andrebbe, tanto per prendere un po’ d’aria irrespirabile… Il disastro prosegue lungo la fascia costiera, dal Lago Patria a Licola.
Se Giugliano è assediata dall’immondizia, poco più avanti, a Villaricca e Mugnano, la crisi non c’è, le strade sono libere e si respira liberamente. L’incubo torna però a Melito.
La spiegazione è semplice: i sacchetti tolgono il fiato dove non c’è la differenziata. «Avevamo cominciato a farla a gennaio – spiega Di Gennaro – ma le ditte cambiavano continuamente. Contro l’ultima a cui avevano affidato il servizio, la Senese, è stato presentato un esposto in Procura, aveva partecipato a bando scaduto. Ma lo stesso bando non ci convinceva. Parlava ad esempio di una fase di sperimentazione assolutamente inutile. Insomma, abbiamo sempre sospettato che le cose non fossero chiare – continua Di Gennaro – nonostante ci fossero tutte le condizioni giuridiche per avere ottimi risultati, e la popolazione era d’accordo». E sì, perché i comitati a furia di denunce avevano fatto chiudere il consorzio di bacino, un carrozzone pubblico che ingoiava soldi senza fornire alcun servizio, esattamente come è successo quest’anno dopo il bando del Comune.
L’immondizia in strada a Giugliano non ci dovrebbe essere lo stesso: nella zona industriale Asi c’è uno degli Stir campani, impianti dove l’immondizia viene semplicemente tritovagliata, sminuzzata, impianto che in questi giorni sta lavorando a pieno ritmo per cercare almeno di smaltire parte della produzione quotidiana napoletana. Ma a Giugliano ci sono ugualmente tonnellate di rifiuti in strada perché i compattatori cittadini si devono mettere in coda, esattamente come quelli che vengono dalle altre città . «Stazionano giorni interi – prosegue – e, già che sono lì fermi, perdono percolato dal cassone. Liquame che scorre lungo un rigagnolo che ammorba l’aria. Nella zona Asi c’erano accampati i rom, il comune li ha mandati via perché impedivano lo sviluppo. Il percolato selvaggio che finisce nel suolo e nelle falde, invece, si vede che lo favorisce».
Non basta. Giugliano fa parte, con Qualiano e Villaricca, del cosiddetto «triangolo della morte», dove si registra un aumento delle mortalità per tumore pari al 14%, tra i picchi massimi in Italia. Un territorio in cui è stato dichiarato lo stato di disastro ambientale a causa degli sversamenti di rifiuti urbani e industriali (soprattutto del nord) fatti dalla camorra per decenni, ma anche dai gestori di discariche legali, piegate a interessi illegali. Qui giace la cittadella delle ecoballe: 6milioni di tonnellate di immondizia impacchettata dalla Fibe per essere bruciata nel termovalorizzatore di Acerra, bloccata dalla magistratura perché ai controlli è risultato che le balle erano tutto tranne che combustibile a norma. La fortezza dell’immondizia di Taverna del Re. In origine era una piazzola di 20mila metri quadrati che è diventata una megalopoli di 2 chilometri e mezzo. Una città con vie, piazze, strade su cui incombono edifici di immondizia.
A tutt’oggi non si sa cosa ci sia dentro i blocchi accatastati e mummificati. Governo e regione, nel piano rifiuti già bocciato una volta da Bruxelles e ancora in discussione, hanno previsto di eliminarle con un termovalorizzatore dedicato. Un impianto su cui le inchieste dicono che la camorra aveva già messo gli occhi. Uno di quegli affari che mettono in moto le lobby delle multiutility italiane, proprio come l’inceneritore che il piano prevede a Napoli est e la nuova amministrazione comunale non vuole. Anche a Giugliano i comitati non lo vogliono: «Pretendiamo che venga nominato un gruppo di studio con scienziati e medici – conclude Domenico Di Gennaro – per analizzare la questione Taverna del Re. Come si può stabilire di smaltire le ecoballe nel termovalorizzatore quando non si sa cosa contengono le balle? Può darsi che sia meno impattante per la salute tenerle ferme lì, come un monumento al disastro italiano».
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