by Editore | 17 Giugno 2011 7:23
«Guiderò a partire dal 17 giugno». È stata la parola d’ordine che ha circolato per settimane su Facebook, attraverso la pagina «Women2drive». Così oggi centinaia, forse migliaia, di saudite si metteranno al volante per spezzare il simbolo delle gravi discriminazioni che subiscono. L’organizzazione della sfida al potere patriarcale è stata capillare. In rete sono circolate istruzioni dettagliate su come presentarsi al d-day. «Mettetevi al volante, allacciate la cintura e partite, pronte a violare la legge che vi vieta di guidare un’auto. Indossate il velo, sventolate una bandiera saudita, portatavi un cellulare, una patente internazionale e viaggiate con un uomo per proteggervi, ove mai fosse necessario, da eventuali aggressori». Sono solo alcuni dei 14 suggerimenti contenuti nel vademecum pubblicato da «Women2drive». «Potreste essere fermate dalla polizia – avvertono le promotrici della protesta – e costrette a firmare una dichiarazione in cui vi pentite per il reato che avete appena compiuto e promettete che non lo farete mai più. Ma lo rifarete, perché il 17 giugno è solo l’inizio della rivolta femminile».
Il clima di attesa ieri era forte, sia nella conservatrice Riyadh che nella moderatamente liberal Jedda. Alcune donne non ce l’hanno fatta a resistere fino ad oggi. In cinque, tutte tra i 20 e i 30 anni, ieri mattina si sono messe al volante e sono partite verso il centro della capitale. Non hanno fatto molta strada. La polizia, informata dagli onnipresenti «muwattawin» (la milizia agli ordini delle gerarchie religiose wahabite) le ha fermate tutte nel quartiere di Hettein, un sobborgo di Riyadh, e condotte al comando delle forze di sicurezza. Ieri sera erano ancora in stato di fermo e di loro si sapeva poco o nulla. La polizia avrà certamente provato ad intimidirle, a minacciarle, magari facendo intervenire le famiglie. Come nel caso di Manal Sharif, 32 anni, arrestata il mese scorso per essere stata trovata alla guida di un’auto nella città di Khobar e rilasciata dopo aver firmato un impegno a non infrangere più le leggi del regno. Ma non è servito a molto. Manal, pur costretta ad abiurare, e le cinque giovani arrestate ieri, hanno dato il via libera all’iniziativa più importante ed ampia lanciata dalle donne saudite negli ultimi 20 anni contro un sistema sociale e legislativo che nega loro diritti fondamentali nella famiglia e nel lavoro oppure votare e farsi eleggere, oltre a quello di poter guidare l’auto.
Finora la reazione delle autorità saudite alle richieste di uguaglianza delle donne è stata ferma ma non violenta. Tuttavia la «primavera araba» che attraversa la regione rimane in sottofondo e il diritto alla guida per le donne può aprire dinamiche ben più ampie. Violento invece potrebbe essere l’atteggiamento di uomini decisi a «riportare l’ordine» in famiglia e nella società . Nelle settimane passate un sito di ultraconservatori ha esortato a «frustare e picchiare» le donne guidatrici. Wajeha Huwaider, nota attivista saudita dei diritti umani, avverte che il sostegno alla protesta del 17 giugno raccogliere l’appoggio di un 50-60% delle donne. «Non tutte sono d’accordo e questo deve offrirci stimoli e motivazioni per allargare l’impegno e l’attivismo tra quelle saudite che si tengono a distanza dai temi dei diritti e dalla società civile», spiega Huwaider. Contraria alla campagna per il diritto alla guida è, ad esempio, la giornalista Fatemeh al Gamde. «Questa iniziativa non è stata preceduta da un dibattito serio e approfondito – afferma al Gamde – sono a favore dell’abolizione del divieto alla guida ma queste cose vanno preparate nel modo giusto».
Più fiducioso è apparso proprio un uomo molto influente, il principe Talal ben Abdulaziz, fratello del re. Qualche giorno fa, in un’intervista al New York Times, ha sostenuto che nella monarchia saudita vi è ormai solo una minoranza piccola ma molto potente che rifiuta ogni cambiamento e preferisce pagare piuttosto che rinnovare (il governo ha stanziato 130 miliardi di dollari per contenere le proteste sociali nate qualche mese fa sull’onda delle rivolte arab). «Alcuni dei nostri leader – dice Talal Ben Abdulaziz – temono la parola cambiamento perché sono miopi». Amnesty International ieri ha chiesto a re Abdallah di dare pieni diritti alle donne, incluso quello di guidare.
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