by Sergio Segio | 16 Maggio 2011 11:35
L’hanno sempre chiamato il «turismo della morte» , che lo approvassero o no. E così continueranno a chiamarlo: resta aperta la porta del suicidio assistito e legale, in Svizzera, anche per gli stranieri in arrivo da ogni parte d’Europa e dagli Stati Uniti; due referendum proposti nel cantone di Zurigo da due diversi partiti avevano chiesto il divieto di questa forma di eutanasia, o almeno la sua limitazione ai residenti da almeno 10 anni, dunque l’esclusione degli stranieri; ma ieri ha votato per il «sì» appena il 20 per cento dei cittadini, troppo pochi per cambiare la legge, e per il «no» hanno votato tutti gli altri. Respinta perciò la proposta di trasformare in un reato penale l’assistenza «passiva» al suicidio, vale a dire l’atto di procurare il farmaco mortale, e di affiancare il paziente nelle sue ultime ore. Mentre rimane un reato, come lo è sempre stato, l’intervento «attivo» . Quello di Zurigo è il cantone più popoloso della Confederazione, e anche la sede di un noto istituto-appartamento dove appunto, a determinate condizioni, una miscela di barbiturici e sonniferi procura la morte a chi abbia espresso questa volontà . Nessun dolore, garantiscono gli organizzatori, e condizioni di massima serenità : la musica preferita, assistenza psicologica, e così via. Dicono le statistiche che ogni anno circa 200 persone scelgono questa fine in Svizzera, una fine legalizzata dal 1941 purché non vi siano in gioco «motivazioni egoistiche» come per esempio un’eredità che tarda (1.400 sono i suicidi in generale). Una sola associazione elvetica è autorizzata a offrire la «dolce morte» , si chiama «Dignitas» . Secondo i suoi dati, 1.138 persone in tutto hanno fatto questa scelta fino al 2010, tra cui: 592 tedeschi, 118 svizzeri, 102 francesi, 19 italiani (secondo altre fonti sono invece una trentina), 16 spagnoli, 18 statunitensi. I critici di questo particolare «turismo» ne hanno sempre evidenziato l’alone macabro, e hanno sempre espresso i loro sospetti su un presunto retroscena di grossi interessi finanziari: più o meno così la pensano i due partiti promotori dei referendum, l’Unione democratica federale di ispirazione cristiana e il partito evangelico; i sostenitori, al contrario, hanno sempre definito l’attività di «Dignitas» come una forma di civiltà e di rispetto delle libertà individuali, un sintomo di progresso laico. Pareri contrastanti che, puntualmente, si riflettono anche in Italia. Dove il voto referendario di Zurigo ha subito calamitato varie reazioni. «Uccidere non è un diritto, ma un delitto – ha commentato il cardinale Elio Sgreccia—. Il risultato del referendum in Svizzera incentiva una pratica che in altri paesi, compresa l’Italia, è considerata un delitto» . E ancora: «Per capirci, è come se si incentivasse la fuga di capitali o il riciclaggio di denaro sporco. Ma il delitto è molto più grave. Questa è complicità al male» . Sulla stessa linea Paola Binetti (Udc) e anche il sottosegretario Eugenia Roccella, che rileva: «L’esito del referendum dimostra che c’è una tendenza in Europa ad affermare l’eutanasia, e dunque la morte, come un diritto» , e questo «rende ancora più urgente fare in Italia una legge sul testamento biologico» in modo da evitare di lasciare aperte strade «per arrivare all’eutanasia» . Diametralmente opposto il parere di Ignazio Marino, Pd: «Il dibattito sul suicidio assistito non ha niente a che vedere con il lavoro parlamentare per l’introduzione del biotestamento: suicidio assistito vuol dire aiutare una persona a morire uccidendola con un veleno, seppure su sua richiesta. Niente a che fare con la libertà di scegliere le cure cui sottoporsi, obiettivo di una legge per l’introduzione delle direttive anticipate» . Nel frattempo, in Svizzera, già si profila un’altra polemica: c’è chi propone di inserire un reparto per il suicidio assistito in alcuni istituti per anziani.
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