Veloci e globali così i nuovi media cambiano le regole

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Ma Twitter, in primo luogo, è un modo di comunicare, semplice gratuito, che consente di diffondere informazioni a una platea tecnicamente infinita di persone. E un mezzo per condividere fatti della vita con altri, per trasformare in notizia le vicende più minute. E una piattaforma pubblica, dunque il luogo dove non solo viene cancellata la distinzione tra produttori e destinatari dell’informazione, ma soprattutto si realizza una rapidità  di comunicazione che batte gli altri media. Un utente di Twitter ha messo in moto la storia di Dominc Strauss-Kahn, ha dato per primo la notizia degli elicotteri che scendevano sul rifugio di Bin Laden, e così era avvenuto per il terremoto in Abruzzo. Si può dubitare che qui si incarni davvero il “giornalismo partecipativo”. E certo, però, che siamo di fronte ad un “ambiente informativo” ancora alla ricerca di una regola che lo metta al riparo dai rischi che possono accompagnarlo.
Come ogni grande innovazione tecnologica, infatti, Twitter ha una faccia oscura. Proprio la sua semplicità , la disinvoltura con la quale si producono flussi informativi da spargere nel mondo possono produrre effetti negativi per l’autore del messaggio e per le persone alle quali questo si riferisce. Fatti minimi – il trovarsi in un posto, l’aver bevuto qualcosa, l’incontro con una persona – sia affiancano, permangono nel tempo, sommati l’uno all’altro producono profili che descrivono una personalità , definiscono un’identità , con conseguenze potenzialmente rischiose. Per questo, proprio negli ultimi tempi, Twitter ha dato vita a una sua politica di tutela della privacy per limitare l’accesso dei terzi alle informazioni dei suoi utenti.
Ma quando la privacy è quella di chi si trova a essere oggetto di una notizia che lo espone ad uno “sguardo indesiderato”? E il caso, in Gran Bretagna, del calciatore Giggs, di cui sono stati rivelati i trascorsi sessuali, e di molti personaggi che si erano serviti di una assai britannica “legge bavaglio” e che ora lamentano una violazione della privacy. Giggs si era rivolto ai giudici chiedendo l’anonimato, e l’aveva ottenuto. Ma il suo nome è stato svelato su Twitter, chiamato ora in giudizio anche perché riveli l’autore della violazione. Come già  era accaduto per Facebook, e con qualche difficoltà  in più, la questione è intricata, non solo perché Twitter ha sede a San Francisco e non si sente soggetto alla giustizia inglese. Come intermediario, che mette a disposizione una piattaforma, Twitter non può essere considerato responsabile per l’uso che ne fanno i suoi utenti, tranne, forse, nel caso in cui assume rilievo particolare il fatto di non averli adeguatamente informati sui danni che potevano procurare. Se, invece, si è di fronte a una vera e propria diffamazione, la sua collaborazione per identificare il responsabile può rivelarsi necessaria. Ma quando non v’è diffamazione e siamo di fronte a una figura pubblica o a una notizia di interesse generale? La potenza della nuova comunicazione di massa turba, ma la censura, una volta di più, non è la via da seguire.


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