Un quinto di Manhattan è straniero. Grandi capitali sempre più globali

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new york – Una casa su cinque a Manhattan è venduta a uno straniero. La nazionalità  degli acquirenti di Londra è salita da 46 a 61 paesi di provenienza – gli stati uniti degli appartamenti. Il 60 per cento delle viste su spiaggia di Miami sono in mano agli stranieri. E inglesi, australiani e americani si sono impadroniti di Hong Kong. Non è solo una rivoluzione per il catasto: è un movimento che rischia di modificare la struttura e l’identità  cittadine come le conosciamo. Intendiamoci: fiumi di inchiostro sono stati versati sul melting pot americano dell’immigrazione. Che cosa distingue, oggi, New York? «La babele delle lingue» dice lo scrittore Gay Talese. Ma questa volta non sono i flussi dell’immigrazione studiati da Saskia Sassen nei suoi saggi su metropoli e globalizzazione. Questo è il caso, per esempio, degli italiani che sbarcano nel centro della Grande Mela, al prestigiosissimo indirizzo di 400 Fifth Avenue, nella via più costosa del mondo, e alzano al cielo una torre di 60 piani che sbandiera – dice Giuseppe Rossi di Bizzi & Partners Development – «le cucine firmate Poliform, gli arredamenti di Cassina, la palestra di TechnoGym….». Un bel pezzo di tricolore che svetta nel centro degli Usa. 
Hong Kong non sarebbe diventato quel gioiello tra il lusso e Blade Runner se non fossero arrivati gli investitori occidentali. Che prima che si precipitassero ovviamente in massa i ricchi cinesi dalla madrepatria – organizzati addirittura con tanto di gite in pullman, dice il Wall Street Journal – hanno fatto schizzare i prezzi a livelli mai visti. Al punto che oggi una casa lì sulla baia è il 52 per cento più costosa che a Londra – e addirittura il 111 per cento più di New York. Il record? Il supercondominio al numero 39 della prestigiosa Coduit Road, venduto per la bellezza di 46.4 milioni di dollari al signor Shy Yuzhu, mogul dei giochi online. 
I più spendaccioni per la verità  sono i russi. Per un appartamentino al Plaza, il Grand Hotel gioiello della Grande Mela smantellato in residenze superlusso, il compositore Igor Krotoy – più di cento canzoni in hit parade, fior di ex sovietiche star a bacchetta – ha speso 48 milioni di dollari: per far felice la sua dolce Olga. Ma pochi sospettano invece che Miami è stata letteralmente presa d’assalto dai brasiliani, il cui real si è rivalutato del 40 per cento rispetto al povero dollaro. Così, nella metropoli di Patricia Cornwell e Carl Hiaasen, il giallista di «Strip tease», nella città  già  colonizzata dagli esuli cubani, con vip come Gloria Estefan e Celia Cruz, oggi la stella è il signor Edgardo Defortuna: un costruttore che adesso sta addirittura spingendo l’American Airlines a mettere un non stop per Rio. O provate, venendo all’Europa, a fare un giro per Kensington. Se siete sbarcati a Londra per irrobustire l’inglese vi sbagliate: l’accento che va per la maggiore è il francese, seguito a ruota dall’italiano. 
Già , l’Italia. Siamo in prima fila quando si tratta di acquistare, appunto, da Londra a New York a Parigi (noi preferiamo Rive Gauche e Marais, i russi hanno fatto salire i prezzi agli Champs Elysées del 38 per cento). Ma com’è che, poi, non c’è miliardario russo o cinese che sbarchi da noi, non c’è inglese o francese che ricambi, non c’è americano che senta più il richiamo delle vacanze romane? Dice sempre Rossi, l’immobiliarista della torre sulla Quinta, che l’Italia sarebbe «la prossima frontiera della globalizzazione immobiliare», e che certo anche a lui piacerebbe portare a casa investitori stranieri. «Il problema, però, è la mancanza di trasparenza». Insomma gli italiani possono sbarcare a Manhattan, individuare un terreno e piantare il tricolore: «Da noi il terreno va prima ripulito, in tutti i sensi». Ci siamo capiti. La nuova città  globale vuole regole globali: mica la nostra giungla ad personam.


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