Ue, la riforma della pesca divide

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L’annuncio era atteso da tempo: il 13 luglio (salvo rinvii dell’ultimo momento, l’Ue licenzierà  il Libro Verde della Politica Comune della Pesca – PCP). Un documento importante, che riguarda la vita di milioni di consumatori e lavoratori della comunità . Solo che, fino a oggi, le associazioni di categoria non sono state coinvolte. In Italia, ad esempio, Lega Pesca. Che sul suo sito denuncia come l’Ue abbia ignorato ”le pur reiterate richieste unitarie che le Associazioni europee, Europàªche e Cogeca, hanno avanzato alla Commissione per la convocazione del Comitato per il dialogo sociale della pesca marittima, al fine della necessaria valutazione delle pesanti ricadute sociali ed occupazionali legate ad una riforma che segnerà  radicalmente il futuro del settore”.

”La verità  è che l’Ue ci pone dei problemi complessi. Noi siamo pronti ad affrontarli, ma non possiamo accettare né il metodo né il criterio e neanche la forma”, dichiara a PeaceReporter il presidente di Lega Pesca, Ettore Ianì. L’associazione, costituita nel 1962, rappresenta le cooperative operanti nell’economia ittica. ”Condividiamo gli obiettivi, non i criteri e i metodi. Tutti siamo per la tutela delle risorse, ma la contempo bisogna lavorare alla tutela dei lavoratori”.

Sui contenuti del Libro Verde, come detto, non si hanno certezze. Secondo Richard Black della Bbc, però, ci sono delle indiscrezioni importanti, che hanno portato alcuni esperti del settore a parlare di ”privatizzazione del Mediterraneo’. Il nodo è quello delle quote di pesca che sarebbero assegnate dai politici e non da esperti tecnici.

”Ciò non fa che aggravare i nostri timori – commenta Ianì – circa l’esito del processo di riforma della PCP. L’intera filiera ittica è al centro di una crisi straordinaria che imporrebbe scelte innovative e orientate al cambiamento, per fronteggiare l’emergenza e garantire un futuro sostenibile al settore, che, a scanso di fraintendimenti, è un obiettivo da tutti condiviso. La proposta di riforma presentata dalla Commissione, priva di reali cambiamenti rispetto alla stesura originaria del 2009, non solo manca di reali novità  ed è poco attenta alle grandi sfide poste dal rafforzamento delle imprese, dalla diversificazione dell’attività , dalla responsabilizzazione della categoria per una gestione sostenibile delle risorse. Il vero problema è che, a dispetto di ogni reale coinvolgimento degli interlocutori sociali e dei portatori di interesse, la Commissione europea è rimasta completamente sorda ai contributi, alle proposte e ai suggerimenti avanzati in questi anni di presunte consultazioni con la categoria,liquidate sbrigativamente con il metodo della bocciatura preventiva”.

Ianì continua: ”Quello della vendita delle quote è solo uno degli aspetti che non comprendiamo.
Significherebbe nell’Adriatico, ma soprattutto nel Mediterraneo, andare verso una concentrazione delle quote, generando un mercato ancora più chiuso, più protetto. Noi, invece, suggeriamo un’altra pratica, ovvero l’autogestione da parte dei produttori in modo tale che noi possiamo diventare protagonisti del nostro lavoro”. In un contesto di mercato che non è dei più entusiasmanti.

”Bisogna dire che l’economia ittica continua a subire una crisi profonda, di portata straordinaria, emergenziale – spiega il presidente di Lega Pesca – Qui non si può più parlare di un periodo di transizione, ma ci troviamo di fronte alla vera e propria fine di un ciclo. Ne inizierà  un altro, che ha una dei problemi chiave da affrontare nell’aumento esponenziale dei costi di produzione. L’aumento del costo del gasolio incide per oltre il sessanta percento, colpendo in particolare il sistema dello strascico. Inoltre c’è un problema legato alla distribuzione della nostra fatica e del nostro prodotto. Per motivi anche oggettivi, in quanto microimprese, con operatori scarsamente scolarizzati, non abbiamo la capacità  di incidere sulla rete distributiva e su quella del credito, finendo stritolati dalla rete commerciale”.

Di sicuro, però, un problema ambientale esiste. Secondo alcuni studiosi, oltre il novanta percento dei grandi predatori oceanici è già  stato pescato, come denuncia un rapporto di Ocean2012.
”Noi viviamo una crisi su più livelli”, risponde Ianì. ”La prima è quella economica. Negli ultimi cinque anni abbiamo registrato un calo di produttività  pari al 41 percento, una riduzione del fatturato pari al 25 percento e un crollo dell’occupazione pari a 17mila posti di lavoro. Accanto a questo, c’è il sovrasfruttamento delle risorse, che continua a rappresentare l’aspetto patologico del settore, il principale ostacolo allo sviluppo sostenibile del settore. Solo che non è il sovrasfruttamento legato solo all’esercizio dell’attività  di pesca, come dice l’Ue. È legato, anche, all’inquinamento marittimo, al riscaldamento globale. Solo che di questo l’Ue non vuole parlare”.


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