Tutto partì da una telefonata così la Cia ha scovato Osama

by Editore | 8 Maggio 2011 7:10

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«Sono di nuovo con quelli di prima». Poi una pausa, come se l’amico avesse capito il senso di quelle parole, che cioè Kuwaiti era tornato nella cerchia più vicina a Bin Laden e si trovava forse proprio a fianco del leader di Al Qaeda. 

L’amico rispose: «Che dio vi assista». 
Quando gli agenti dell’intelligence Usa vennero a conoscenza di questo colloquio seppero di essere giunti alla fase decisiva della lunga caccia al fondatore di Al Qaeda. La telefonata li condusse ad una insolita costruzione circondata da un alto muro di cinta ad Abbottabad, 35 miglia a nord della capitale pachistana. 
Nelle parole di un funzionario Usa informato sulle azioni di intelligence che hanno portato al raid contro il compound di lunedì mattina, «è qui che inizia il film sulla caccia a Bin Laden». 
La telefonata, e varie altre informazioni, hanno dato al Presidente Obama la sicurezza necessaria per dare il via a una missione politicamente rischiosa per catturare o uccidere Bin Laden, una decisione presa dal presidente nonostante i dissensi espressi in seno al gruppo dei suoi consiglieri per la sicurezza nazionale e alle stime variabili circa le probabilità  che Bin Laden si trovasse nel compound.
I funzionari che si sono espressi circa i dati di intelligence raccolti e su come è maturata la decisione della casa Bianca hanno posto come condizione di restare anonimi. 
Le agenzie di intelligence Usa cercavano Kuwaiti da quattro anni almeno. La telefonata con l’amico fornì loro il numero del cellulare del corriere. Grazie all’impiego di un gran numero di fonti umane e tecnologiche, seguirono Kuwaiti fino al covo di Bin Laden. L’edificio principale, privo di allacciamento telefonico e internet, era impenetrabile agli strumenti di intercettazione utilizzati dalla Agenzia per la Sicurezza Nazionale. 
Gli agenti Usa scoprirono con stupore che, per telefonare, Kuwaiti o altri uscivano dal compound e si allontanavano in auto viaggiando per circa un’ora e mezza prima di inserire la sola batteria nel cellulare. Nel momento in cui accendevano il cellulare, infatti, potevano essere localizzati, cosa, ovviamente, da evitare in ogni modo. 
Studiando le immagini del covo, l’intelligence notò che un uomo usciva quasi ogni giorno a passeggiare nel terreno circostante la casa per un’ora o due. Camminava avanti e indietro, giorno dopo giorno e ben presto gli analisti presero a chiamarlo “the pacer”, letteralmente “quello che va su e giù”. Le immagini raccolte non consentirono mai di vederlo chiaramente in volto. 
Gli uomini dell’intelligence erano restii a usare altri strumenti di sorveglianza tecnologica o umana che avrebbero potuto portare sì ad un’identificazione, ma correndo il rischio di essere scoperti. “The pacer” non lasciò mai il compound. Il suo comportamento routinario faceva pensare quasi che si trattasse di un prigioniero.
“The pacer” era bin Laden? Un’esca? Una beffa? Un inganno?
Bin Laden era alto almeno uno e novantacinque e l’uomo, dalla falcata, sembrava alto. La Casa Bianca chiese alla National Geospatial-Intelligence Agency, che fornisce e analizza le immagini inviate dai satelliti, di determinarne la statura. La risposta fu tra il metro e settantasette e i due metri e sette. 
Secondo una fonte diversa, l’agenzia fornì una stima più precisa, ma comunque poco affidabile per la scarsità  di informazioni circa le dimensioni delle finestre dell’edificio e lo spessore dei muri del compound, che sarebbero serviti come riferimento per determinare la reale altezza dell’uomo. 
In un incontro alla Casa Bianca, il direttore della Cia, Leon Panetta, spiegò a Obama e ai vertici della sicurezza nazionale che la regola dell’intelligence è continuare l’attività  fino a quando si sono ottenute tutte le possibili informazioni su un bersaglio, in questo caso il compound di Abbottabad. 
Panetta disse che si era ormai arrivati a quel punto, sostenendo che gli uomini che seguivano gli spostamenti dei residenti del compound vedevano “the pacer” quasi ogni giorno, ma non erano in grado di stabilire con certezza che si trattasse di Bin Laden. Panetta osservò che non erano disponibili dati di spionaggio elettronico e sostenne che era troppo rischioso inviare una spia o avvicinarsi ulteriormente con strumentazioni elettroniche. 
L’agenzia fornì allora una postazione sicura a Abbottabad per un piccolo team di agenti incaricati di controllare il compound nei mesi precedenti al raid. 
Obama e i suoi consiglieri discussero varie opzioni. Una prevedeva il lancio di un missile da parte di un drone, Predator o Reaper. Un attacco simile era a basso rischio, ma se avesse colpito in pieno l’obiettivo “the pacer” poteva finire polverizzato e non si sarebbe mai avuta la certezza di aver ucciso Bin Laden. Se invece fosse fallito, come è già  accaduto per attacchi ad obiettivi di alta importanza, Bin Laden o chiunque vivesse nel compound sarebbe fuggito e gli Usa avrebbero dovuto riprendere la caccia da zero. 
Panetta incaricò il vice ammiraglio della marina William H. McRaven, che era stato a capo del Comando Congiunto Operazioni Speciali (Jsoc) per quasi tre anni, di elaborare un piano sul terreno, noto in seguito come “l’opzione McRaven”. 
McRaven aveva intensificato i raid delle squadre speciali, soprattutto in Afghanistan. Nei primi due anni del suo incarico il cosiddetto jackpot, il pieno successo delle operazioni, passò dal 35 per cento all’80 per cento. 
La decisione di McRaven di assegnare l’azione ai Navy Seals, un’unità  delle Operazioni Speciali con grande esperienza in incursioni su obiettivi di alta importanza, è stata fondamentale. I Seals sono rapidi nel fare irruzione e nell’abbandonare il sito del raid, spesso uccidendo chiunque incontrino. Gran parte dei membri del commando impiegato nel raid contro Bin Laden hanno esperienza di una decina o più di missioni in zone di guerra.
Dagli studi condotti dalle agenzie di intelligence sulla vita all’interno del compound, emerse che era periodicamente frequentato da una dozzina di donne e bambini. 
I Seals ricevettero ordini precisi di non sparare alle donne o ai bambini, a meno che non costituissero una chiara minaccia o fossero armati (nel corso della missione è stata uccisa una donna e una delle mogli di bin Laden è stata ferita ad una gamba da un colpo d’arma da fuoco). Secondo una fonte ufficiale, Bin Laden doveva essere catturato «se si fosse palesemente arreso». 
Il rischio per i Seals cresce con la durata dell’azione. La filosofia del commando è questa: «Spara a quello che vedi. È pieno dì cattivi lì dentro». In base alle stime, la possibilità  che Bin Laden si trovasse nel compound variavano dal 60 all’80 per cento. Michael Leiter, capo del Centro Nazionale Antiterrorismo, era molto più cauto. Nel corso di un incontro alla Casa Bianca stabilì la probabilità  al 40 per cento. 
Quando gli venne obiettato che si trattava di una bassa possibilità  di successo rispose: «È vero, ma è il 38% in più rispetto a prima». 
Varie fonti sostengono che i consiglieri per la sicurezza nazionale di Obama non erano tutti d’accordo sulla scelta dell’opzione McRaven. Il presidente ha approvato il raid alle 8.20 del mattino di venerdì. 
Durante l’attacco uno degli elicotteri Black Hawk è andato in stallo, ma il pilota è riuscito a portarlo a terra. L’atterraggio ha però provocato danni al mezzo, e i Seals sono stati costretti a rinunciare al piano in base al quale un commando si sarebbe calato da un Blackhawk per entrare dal tetto nell’edificio principale. Invece entrambi i commando hanno fatto irruzione nel compound da terra. 
La Casa Bianca ha dichiarato inizialmente che Bin Laden era morto sotto i colpi di arma da fuoco perché si era impegnato in un conflitto a fuoco e opponeva resistenza. In seguito il portavoce della Casa Bianca Jay Carney ha detto che Bin Laden non era armato, ma ha ribadito che ha opposto una qualche forma di resistenza. Carney ed altri hanno rifiutato di specificare con esattezza il genere di resistenza che lo sceicco avrebbe opposto, benché sia stata riferita la presenza di armi nella stanza in cui è stato ucciso. 
A detta di una fonte autorevole delle Operazioni Speciali, i Seals eviteranno d’ora in avanti di fornire maggiori dettagli sul raid per impedire la divulgazione di metodologie decisive per il successo delle loro azioni. I singoli partecipanti al raid non rilasceranno interviste e avrebbero firmato accordi per cui si impegnano a non divulgare informazioni sulle loro attività . «Vogliono serrare i ranghi e tornare al lavoro». 
I Seals hanno prelevato dozzine di chiavette Usb e vari hard disk che sono ora al vaglio dell’intelligence per ricavarne informazioni su Al Qaeda, in particolare per localizzare Ayman Al Zawahiri, il braccio destro di Bin Laden. Ma pare che questo delicato lavoro sia reso più arduo dal timore che utilizzando password errate si possano innescare programmi di protezione che cancellano ogni tipo di dato. 
Nella “Situation Room” della Casa Bianca, domenica sera, il presidente e i suoi consulenti per la sicurezza nazionale hanno visto un video del raid privo di audio. 
Quando il cadavere di Bin Laden è stato composto, è stato chiesto a uno dei Seals di stendersi accanto al corpo per comparare la statura. Il membro del commando era alto un metro e ottantatre. Il corpo era svariati centimetri più alto. 
A questa notizia Obama, rivolto ai suoi consiglieri, ha esclamato: «Per questa operazione abbiamo dato un elicottero da sessanta milioni di dollari e non potevamo permetterci di comprare un metro a nastro?». 
Ha collaborato Evelyn M. Duffy.  ©The Washington Post Company/Adnkronos. Traduzione di Emilia Benghi

 

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