Tutti i rischi per l’Occidente. Intervista a Tzvetan Todorov

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PARIGI. «La morte di Bin Laden è un’azione di guerra che assomiglia a una forma di vendetta, forse legittima, ma che non ha nulla a che fare con la giustizia». Tzvetan Todorov, lo studioso francese autore di molti saggi, tra cui La paura dei barbari (Garzanti), commenta così la fine del capo di Al Qaeda. «Uccidendo Bin Laden, gli americani hanno eliminato un simbolo, ma non certo il terrorismo, per combattere il quale è molto più utile sostenere le rivolte nei paesi arabi. Lì i giovani sono mossi dal desiderio di partecipare pienamente alla vita del mondo contemporaneo, rifiutando quella logica dello scontro con l’Occidente che è alla base del terrorismo islamico. Naturalmente, oltre ad aiutare pacificamente tali rivolte, dovremmo rinunciare all’arroganza del vecchio colonialismo che pretendeva d’imporre agli altri i propri valori e le proprie scelte. Per questo, dovremmo ritirarci dall’Iraq, dall’Afghanistan e dalla Libia. E contemporaneamente dovremmo chiudere i centri di detenzione e di tortura illegali che indeboliscono l’immagine delle democrazie occidentali. Non possiamo difendere i diritti dell’uomo e contemporaneamente non rispettarli».
La battaglia contro i nemici della democrazia deve quindi fissarsi dei limiti?
«Occorre semplicemente rispettare le regole democratiche. Se per combattere un nemico malvagio, diventiamo malvagi come lui, allora questo ha già  vinto».
Le democrazie hanno bisogno di un nemico pubblico contro cui mobilitarsi?
«Le società  democratiche non dovrebbero mai aver bisogno di nemici o capri espiatori presentati come simboli del male assoluto. Tali nemici esterni servono spesso a mascherare i veri nemici della democrazia, che di solito sono nemici interni. Penso a certe derive degli stessi procedimenti democratici che possono diventare una vera e propria minaccia per la democrazia. Ad esempio, lo spirito messianico, vale a dire la volontà  di portare a tutti la salvezza anche con la forza. In passato, lo spirito messianico si è manifestato con le guerre napoleoniche, il colonialismo e poi il comunismo. Oggi, il nuovo messianesimo occidentale ci spinge ad intervenire in altri paesi in nome della democrazia, ma col rischio d’infrangerne i principi».
Il populismo può essere considerato uno dei nemici interni della democrazia?
«L’appello al popolo è un valore democratico, ma quando si prendono le reazioni immediate della folla come unico metro della vita politica, evidentemente ci si allontana dalla democrazia. Purtroppo, alcuni tratti della democrazia, nel momento in cui vengono enfatizzati, possono ritorcersi contro di essa. Oltre al populismo occorre ricordare la tirannide dell’individualismo che, sulla scorta dell’ultraliberalismo, ha prodotto una società  in cui l’idea del bene comune sta progressivamente arretrando. Oppure i rischi legati alla concentrazione del potere in poche mani e alla collusione tra interessi politico-economici e i mezzi d’informazione. Infine, la scomparsa di un nemico esterno ideologico – il comunismo – ha favorito l’emergere di un altro nemico esterno, lo straniero trasformato in una minaccia permanente. La xenofobia è un vero pericolo per le democrazie».
Una democrazia forte è meno ossessionata dai nemici?
«In teoria sì, ma la storia c’insegna che la democrazia si reinventa sempre, si rimette sempre in discussione, partendo dalle proprie debolezze e difficoltà . La democrazia non è mai una condizione definitiva, ma sempre un processo in atto».


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