Tour, film e Tea Party Ecco Sarah Palin 2.0
Vuoi vedere che, alla fine, se ci ritroveremo Sarah Palin sulla poltrona di Barack Obama sarà tutta colpa di Giacinto “Gino” Paoletti? In fondo è lui, l’ex operaio dell’oleodotto, l’«Italian Stallion» di Wasilla, Alaska – l’autodefinizione è sua – il biondino italoamericano politicamente scorretto che su Twitter scrive ancora «nigga», negro, ad aver spinto la signora a prendere casa in quel di Scottsdale, Arizona, in un castelletto da 1.8 milioni di dollari. Dice: ma che ci fa l’ex governatrice dei ghiacci lì dove l’America si scioglie sotto il sole del Messico? Il mistero sarà risolto tra qualche giorno. Quando, alla prima del film pomposamente intitolato «l’imbattuta», Sarah potrà annunciare quello che mezza America aspetta: il suo ritorno in campo. Converrete che da lì è molto più comodo fare base per la campagna elettorale del 2012, invece di sobbarcarsi i lunghi viaggi in aereo, comprese quattro ore di fuso tra Washington e Anchorage. E mica per niente laggiù s’è già trasferita da qualche mese la bella Bristol, la regina di «Ballando con le stelle», il reality più visto degli Usa. Che ha preso casa proprio a Maricopa, mezz’ora da Phoenix, per seguire Gino il fidanzatino che lì sta facendo una fortuna nell’immobiliare…Sembra davvero la trama di un reality la nuova discesa in capo di Sarah, la Palin 2.0, la signora che ha fatto il reset per rilanciare l’eterna sfida a Barack. Ufficialmente lei ancora tentenna. Ma già questa domenica lancia un tour che toccherà i luoghi mitici della storia Usa, da Gettysburg a Philadelphia. «Ho il fuoco dentro», dice sibillina a Greta Van Susteren, la conduttrice della Fox di Rupert Murdoch, che poi sarebbe anche una collega visto che la televisione del mogul antiObama le passa il check milionario per le comparsate sul suo piccolo schermo. «Mi piacerebbe correre per la presidenza se pensassi che è la cosa giusta per l’America. E per la famiglia Palin». La famiglia, per carità , non le tocchino la famiglia, cinque figli tra cui proprio quella mattarella di Bristol che in piena campagna 2008, quando la mamma stava riscattando i repubblicani dall’irresistibile ascesa nei sondaggi di Barack, si ritrovò – minorenne e non sposata – in dolcissima attesa.Ma la verità è che Sarah ha già deciso. Correrà . Sta solo aspettando l’effetto annuncio dell’ultimo minuto: sempre per i soliti sondaggi. La sua arma segreta, si sa, ha un nome: Tea Party. Quei duri e puri della destra anti establishment che faticano, ora, a riconoscersi tra le vecchie facce (il Newt Gingrich che già sfidava Bill Clinton, Ron Paul che è un decano) e outsider senza speranza come Herman Cain, la cui unica esperienza di amministrazione fu alla guida di una catena di fast food ignobilmente chiamata la Pizza del Padrino.Così, zitta zitta, Sarah Barracuda si prepara. E da tempo. Ha incominciato addirittura all’indomani delle elezioni di midterm, quelle di novembre che lo stesso Barack ha definito «una batosta». Sì, i repubblicani hanno trionfato proprio sull’onda del suo partito del Tè. Ma sapete come funzionano certe cose in politica: la vecchia guardia alla Karl Rove, il burattinaio di George W. Bush, si stava già organizzando per farla fuori. Troppo forte Sarah, troppo spontanea, troppo sanguigna. Non era stata lei, per esempio, a mettere un bel cerchietto e a segnare come «obiettivo», sulla carta elettorale d’America squadernata sul suo sito, quella povera Gabby Giffords, colpevole di aver votato per la riforma sanitaria di Obama, che un pazzo furioso tenterà davvero di eliminare nella strage di Tucson?
Anche per questo la signora s’è messa in testa di rifarsi, se non proprio una verginità – lei che ha spinto la sua Bristol a lanciare una campagna per l’astinenza sessuale – quantomeno l’immagine. E quale migliore immagine di quella di un film? Così ha chiamato a sé Stephen K. Bannon, un ex ufficiale di marina e già banchiere di Goldman Sachs, riciclatosi come regista e autore di quel «Generation Zero» che è il film bandiera dei Tea Party. E gli ha dato mandato di dimostrare che, in fondo, non è cattiva: è che la disegnano così. Il filmino da un milione di dollari ripercorre dunque la sua carriera da governatrice. Rispolverando le virtù – la guerra ai corrotti di Big Oil – e sorvolando su particolari più inquietanti – l’addio al governo prima del tempo per dedicarsi alla più lucrosa carriera tv.
Ne è venuto fuori un ritratto in cui il regista la paragona modestamente a Giovanna D’Arco. Ma così politicamente scorretto da essere realizzato in due versioni: una vietata ai minori e l’altra no. Con l’eliminazione, nell’altra, di quella sfilza iniziale di apprezzamenti che i liberal più famosi, da Matt Damon a David Letterman, le hanno in questi due anni amorevolmente dedicato. Ma chi se ne frega dei divi di Hollywood e della tv? Volete mettere Giacinto “Gino” Paoletti…
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